La ‘pace’ di Trump per il Medio Oriente è il prolungamento della guerra con altri mezzi. Ai Palestinesi, infatti, non viene dato un bel nulla, neanche qualche tubo in più per irrigare per i campi. Se vogliono, possono ‘godersi’ lo spettacolo della cerimonia alla Casa Blanca dove sfilano i rappresentati di Israele, Emirati arabi e Bahrein – che peraltro non erano in guerra tra loro e che avevano normali anche se non dichiarate relazioni da moltissimi anni, come sostengono le stesse fonti dell’intelligence Usa, da ultimo Marc Polymeropoulos, vecchio funzionario della CIA; oppure possono ‘ammirare’ le mura della città vecchia di Gerusalemme illuminate con le bandiere delle Nazioni protagoniste di questo sciagurato accordo.
Ma per loro non c’è niente, restano quel popolo ‘di troppo’, un ‘avanzo’ della Seconda Guerra Mondiale, come i curdi e non solo, per il quale gli assetti neocolonialisti seguiti al conflitto non hanno previsto una collocazione. Eppure, il mondo pensa che sia ‘pace’, perché di pace parla la maggior parte dei media italiani e internazionali. In realtà, la parola chiave per capire la faccenda di questa benedetta normalizzazione delle relazioni tra i tre Stati è, ancora una volta, il Grande Medio Oriente, quello che non prevede Paesi disallineati agli interessi del blocco finanziario-militare dell’Occidente. Come in diversi articoli scrive Alberto Negri, Trump si sta disimpegnando dal Medio Oriente solo perché, e proprio perché direi, sta costruendo una sorta di Nato araba a trazione israeliana in funzione anti-iraniana e forse anti-turca.
Gli amici di Trump lo propongono per il Nobel anche se allo strambo presidente non gli è mai passato per la mente di occuparsi di pace, se non come formula di garanzia per l’Impero americano e i suoi satelliti. Siamo dunque di fronte alla nascita di nuovi assetti geopolitici che, intanto, danno vita a flussi di denaro e merci tra i protagonisti e portano armi in gran quantità ai Paesi del Golfo, caduto ormai il muro del boicottaggio anti-israeliano. Sarcasticamente chiamati ‘accordi di Abramo’, i nuovi protocolli significano un passo nel buio per la questione palestinese e, di sicuro, la fine – ampiamente architettata da Natanyau fin da Oslo – della soluzione dei Due Stati per due Popoli, formula che solo Arafat, con la sua capacità camaleontica di gestire relazioni e di farsi amare dal suo popolo, avrebbe potuto attuare.
La sua morte rappresentò un indubbio momento di logoramento di quella prospettiva. Ora Trump ha finito per ucciderla definitivamente. Anche i movimenti di solidarietà con la Palestina dovranno prenderne atto.