La fortezza sonnolenta è posta a difendere il confine inutile di un imprecisato impero, un territorio che in fondo nessuno vuole, che si abita, che si usa, ma che non può dare gioia o profitto. Un piccolo contingente di soldati annoiati la presidia, con la certezza di avere un ruolo ininfluente nella storia e proprio per questo privo di rischi e di paure. Un magistrato, il cui nome non viene mai citato tiene le redini di questo avamposto. Sono redini lasse, ché non serve la durezza, e il comando si svolge sciolto e garbato, come tra pari con ruoli diversi. La fortezza difende un impero che si è spinto fino a quel Vallo di Adriano senza Pitti e Scoti a premere, hic non sunt leones. Di là dalle mura arse dal sole cocente dell’estate e dal freddo tagliente dell’inverno c’è quanto di più simile al nulla possa esistere, malgrado lo si chiami, con voce terribile, ‘I barbari’. Perché, di fatto, l’altro se si nasconde, se ci elude, diviene nella nostra quotidianità una ‘non percezione’.
Aspettando i barbari è una riflessione complessa e polimorfa, sull’idea di diverso, non nella banale accezione dell’accettazione incondizionata che l’odierno ‘politicamente corretto’ vorrebbe imporci per considerarci civili, bensì nelle sconvolgenti implicazioni a cui allude la parola. Il film, che trae spunto dall’omonimo libro dello scrittore sudafricano John Maxwell Cotzee (1980) è profondamente allegorico e ci trascina, attraverso lo sguardo del regista colombiano Ciro Guerra, qui al suo primo film in lingua inglese, in un inferno che dapprima il Magistrato, impersonato con recitazione minimalista e pigra dal superbo Sir Mark Rylance, uomo colto e incapace di violenza, guarda dall’esterno per sprofondarvi subito allucinato e incredulo. E la sua resistenza passiva, all’intervento di un violento militare, il Colonnello Joll, interpretato da Johnny Depp, attore di qualità straordinarie che inspiegabilmente, ormai, recita sempre la stessa parte, diviene ben presto una manifesta rivolta contro il concetto stesso di occupazione e di dittatura. La telecamera di Guerra non indugia mai sui particolari più scabrosi, accennandone i contorni dentro una zona buia che ne amplifica il potere suggestivo: «pensavo che la vicenda fosse ambientata in un mondo e in un’epoca lontani» poi «la distanza […] si è progressivamente ridotta […], la trama si è trasformata in una storia sulla contemporaneità».
Joll in quell’avamposto è giunto per giustificare un’azione contro i barbari che a suo dire premono sull’Impero, per invaderlo. La creazione di un nemico è il suo intento e la tortura, crudele e vile, la via per ottenere confessioni, da parte dei barbari, in realtà nomadi apparentemente poco interessati all’occupazione ostile delle loro terre, che possano suffragare la sua tesi. Le prime parole che il magistrato, scambia con il Colonnello Joll sono in merito agli strani occhiali da sole che egli indossa: oggetto, civettuolo, che risulta essere raro da quelle parti. È subito chiaro in Joll, la cui vera passione è la procurata sofferenza, che «nulla è vero tranne il dolore», un profondo incantamento per l’estetica del male. Il dolore che usa per creare uno strappo con l’altro, con il nemico, il diverso da noi che si trasforma attraverso l’umiliazione e la violenza in un grumo di carne disumanizzata. Identità che può essere torturata, distrutta, usata ai propri fini.
E se l‘agnizione della vera impossibilità di condividere con i nomadi una uguale aspettativa, una simile solidarietà, lo ferisce, dopo essere stato rifiutato da una giovane barbara di cui s’era innamorato, non per questo il Magistrato di fronte alle torture, stretto tra l’impotenza e l’orrore, sceglierà la resa. Nell’incapacità di salvare i barbari − stritolati dal sistema e dalla crudeltà di Joll e dei suoi aguzzini, tra i quali si mette in evidenza Mandel che ha il sorriso cinico di uno spietato Robert Pattinson −, deciderà di salvare almeno se stesso. Opponendosi allo scempio con coraggioso e donchisciottesco coraggio. Nell’attesa che i barbari infine, annunciati da una tempesta di sabbia, dopo aver annientato Joll e i suoi uomini, si abbattano sulla fortezza. Che forse il male diventa reale solo quando lo si chiama a sé.
WAITING FOR THE BARBARIANS
Titolo in italiano: Aspettando i barbari
Titolo in lingua originale: Waiting for the Barbarians
Anno di produzione: 2019
Anno di uscita: 2020
Regia: Ciro Guerra
Sceneggiatura: Ciro Guerra
Costumi: Carlo Poggioli
Scenografia: Crispian Sallis
Fotografia: Chris Menges
Montaggio: Jacopo Quadri
Effetti Speciali: Belaid Fougdal
Makeup: Marta Roggero (capo dipartimento makeup); Armido Pezzato (capo dipartimento acconciature)