Una ragazza di vent’anni con i capelli legati e la pelle d’ambra guida la delegazione dei braccianti di Pontinia, li chiama nello slang di Latina, un accento per metà romanesco e per metà di chissà quale lingua. E’ lei la prova dell’integrazione e del rispetto necessario per i circa 24mila lavoratori dell’agricoltura in provincia di Latina che oggi sono scesi in piazza per ottenere dignità, rispetto delle regole, diritto alla sicurezza e alle rivendicazioni salariali. E’ uno sciopero importante e si tiene sotto la sede della Prefettura come in tutte le vertenze economiche che contano. Sono centinaia i braccianti indiani arrivati già prima delle nove per una manifestazione indetta dopo mesi dai numeri terribili: 13 braccianti suicidi negli ultimi anni, tre morti in 48 ore in incidenti sul lavoro, quattro inchieste che hanno provato lo sfruttamento e il caporalato anche durante la pandemia, un lavoratore picchiato dall’imprenditore perché aveva osato chiedere lo stipendio, un processo in Corte d’Assise con 46 imputati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, decine di ricorsi al giudice del lavoro del Tribunale di Latina per adeguamento salariale. In piazza ci sono tutte le sigle dei sindacati confederali, Fai Cisl, Uila Uil, Flai Cgil e una delegazione viene ricevuta dal Prefetto, Maurizio Falco, prima dell’inizio del sit in. L’incontro produce un impegno a convocare al più presto le associazioni datoriali per concordare percorsi di formazione professionale in grado di far penetrare nella comunità dei braccianti indiani la consapevolezza sia sui loro diritti sindacali che quelli relativi alla sicurezza. L’agricoltura è la più importante “industria” della provincia di Latina e oggi, qui, si vede perché così tanti lavoratori a sostegno di una vertenza non si contavano da anni, per la precisione da quando tutto il comparto produttivo industriale da queste parti ha smobilitato. Ma si vede anche che in ballo non c’è solo una rivendicazione sindacale. Come sottolinea il sociologo Marco Omizzolo, che è stato tra i promotori della manifestazione, “le imprese devono anche accettare la diversità e l’integrazione, il caporalato e i maltrattamenti nascono da una subcultura fatta di discriminazione del diverso, dell’immigrato”. Anselmo Briganti, segretario generale della Cgil, dice che “con questa battaglia dei braccianti stiamo portando avanti una guerra sulla introduzione della legalità in tutta la filiera dell’agricoltura, dove purtroppo si infilano le agromafie; eliminare il lavoro nero e il caporalato nell’agricoltura della provincia di Latina significa espellere e/o emarginare le organizzazioni criminali che controllano parte della filiera”. La manifestazione di protesta viene ripresa sui social dai giovani braccianti e inviata in India, trasformando così una lotta sindacale locale in una vicenda che supera i confini e mostra il lato oscuro della produzione agricola in Europa. Perché di questo, in fondo, si tratta. Sul palco dove si alternano i sindacalisti ci sono le bandiere del sostegno sociale, quelle di Emergency e Anpi in primis. Dai volti dei partecipanti si comprende quanta strada ci sia ancora da fare e quanto tempo si sia già perso nonostante l’entrata in vigore della legge sul caporalato, nel 2016. Servono più controlli e che siano costanti ma soprattutto serve uno sforzo delle aziende sane contro il sistema dello sfruttamento di quelle che usano metodi illeciti. C’è scritto anche questo nel documento che dal palco viene illustrato in doppia lingua alla piazza, dove tutti ascoltano fino alla fine, nonostante la pioggia e il traffico impazzito di Latina.