La nostra città è davvero l’Anello che congiunge il terrorismo politico allo stragismo non solo mafioso, iniziato nel 1984 e terminato dieci anni dopo col tramonto della Prima Repubblica? Quanti gradi di continuità ci sono tra i poteri politici, economici e criminali di allora e di oggi? Quali le responsabilità ancora da accertare, tra alcuni viventi e altri ormai defunti protagonisti di queste torbide fratellanze? Ci sono processi in corso che andrebbero seguiti, come avrebbe fatto Sergio Zavoli: sapere dipende da tutti noi.
Il 5 agosto 1989 Nino Agostino, giovane servitore dello Stato, e sua moglie Ida Castellucci, incinta di 5 mesi, vengono assassinati sulla soglia di casa dei genitori di lui a Villagrazia di Carini, a metà strada tra Capaci e Punta Raisi. Esecutori e mandanti del duplice omicidio sono tuttora impuniti.
Lo scorso 10 settembre, per la prima volta in 31 anni, ha avuto inizio un processo ai presunti responsabili – i boss mafiosi Antonino Madonia e Gaetano Scotto – e all’allora minorenne Francesco Paolo Rizzuto, amico di Nino Agostino, accusato di favoreggiamento aggravato. I magistrati che, sulla base di approfondite indagini, hanno chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio degli imputati sono il procuratore generale Roberto Scarpinato e i sostituti Domenico Gozzo e Umberto De Giglio. Purtroppo Vincenzo Agostino – l’anziano papà di Nino, che 31 anni fa giurò non si sarebbe tagliato la barba finché non avesse ottenuto giustizia – e l’opinione pubblica hanno dovuto constatare, per l’ennesima volta, l’assenza dello Stato: «Anche in questo giorno così importante lo Stato non è al mio fianco, il Ministero dell’Interno non si è costituito parte civile».
Un errore a cui sarebbe bene porre rimedio prima possibile, come ha scritto l’ex deputato Davide Mattiello, consulente della Commissione antimafia (qui il suo intervento); richiesta di costituzione di parte civile che – alla fine – è effettivamente arrivata.
Era il 19 luglio 2012, mi trovavo in via D’Amelio insieme agli studenti di due scuole medie: quella di Marzabotto e quella del quartiere Zen, coinvolti rispettivamente dal Laboratorio delle Meraviglie di Marzabotto e da Libera Palermo nell’ambito del progetto “Piantiamolamemoria”. Insieme a noi c’erano Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage alla stazione di Bologna, Rita Borsellino, Luigi Ciotti, Vincenzo Agostino e Augusta Schiera, sua moglie, la mamma di Nino scomparsa all’inizio del 2019. Un’esperienza formativa, non solo per i giovani coinvolti.
Il 21 giugno di quel 1989, meno di due mesi prima dell’omicidio Agostino, un altro clamoroso – e, provvisoriamente, fallito – attentato aveva scosso la città di Palermo: all’Addaura, zona marittima nei pressi di Mondello un ordigno viene ritrovato nell’accesso al mare della casa di Giovanni Falcone, che quel giorno si trovava lì insieme al magistrato svizzero Carla Del Ponte. Nino Agostino, agente del commissariato San Lorenzo, il 21 giugno era in servizio: fu tra coloro che contribuirono a sventare l’attentato ai due magistrati.
Mentre a Palermo si apre la possibilità di fare finalmente luce su quell’estate del 1989, a Bologna sono in corso indagini che vorrebbero completare la verità giudiziaria sulla strage nera del 2 agosto 1980. Un lavoro, quello della Procura Generale di Bologna diretta da Ignazio De Francisci, non meno approfondito di quello intrapreso dai colleghi siciliani. L’impegno dei magistrati bolognesi ha recentemente ricevuto un sostegno, pubblico e ufficiale, dal governo italiano. Anche il Presidente della Repubblica, durante la visita a Bologna di fine luglio, ha voluto «ribadire la sollecitazione a sviluppare ogni impegno per la verità con ogni elemento che possa contribuire a raggiungerla pienamente». Si tratta, naturalmente, di processi per fatti accaduti in anni e circostanze diverse.
Eppure, come ha detto Paolo Bolognesi lo scorso 2 agosto in Piazza Maggiore, «il processo che si aprirà presto contro i mandanti può veramente cambiare la storia d’Italia e far luce completamente su mandanti e ispiratori politici che hanno giocato in prima persona per sconvolgere l’assetto politico-istituzionale del Paese. Non solo con la strage del 2 agosto, ma con operazioni precedenti e successive. E questo processo, lo dico con orgoglio, è anche frutto delle nostre lotte, è il contributo dell’Associazione dei familiari all’Italia democratica. Noi siamo vittime che chiedono giustizia e anche, allo stesso tempo, cittadini che contribuiscono al percorso democratico. E noi vi diciamo: questa è una storia che ci riguarda tutti e il cui finale dipende da tutti noi».
Effettivamente Bologna sembra rappresentare l’Anello – è proprio il caso di chiamarlo così – che congiunge gli anni del terrorismo di matrice politica alla stagione dello stragismo non solo mafioso, iniziato nel 1984 e terminato dieci anni dopo con le bombe “in continente”. Non basta, dunque, stare a vedere come andranno a finire questi processi. Non ci può essere passività. L’opinione pubblica andrebbe messa, da subito, nelle condizioni di seguire passo passo, almeno a distanza, le udienze di processi di tale portata. Vedremo quanti e quali saranno i direttori delle grandi testate giornalistiche che, onorando la memoria di Sergio Zavoli, si degneranno di dare una corretta copertura mediatica a questi percorsi giudiziari; percorsi che di per sé, in attesa delle future sentenze, possono contribuire ad ampliare le nostre conoscenze storiche sulla Notte della Repubblica italiana. A Bologna questo ampliamento di conoscenze in parte è già avvenuto durante il processo a Gilberto Cavallini, il terrorista dei Nar in rapporti con i capi veneti di Ordine Nuovo, condannato in primo grado a inizio 2020 per concorso in strage. Sentenza di cui presto leggeremo le motivazioni.
Riccardo Lenzi (presidente associazione Piantiamolamemoria ),
Stragi: da Bologna a Palermo conoscere i mandanti si può – Cantiere Bologna