Trent’anni senza Alberto Moravia e una riflessione che si impone: su ciò che eravamo e su ciò che siamo diventati, sulla passione civile e sulla scrittura caratterizzata dall’impegno politico, sul ruolo egemonico di un determinato pensiero e sull’incapacità di molti intellettuali contemporanei di incidere nel percorso sociale di una comunità che, di fatto, non è più tale.
Non tutto Moravia è dello stesso livello. Alberto Pincherle, questo il vero nome dello scrittore, nato a Roma nel 1907 e scomparso, sempre nella capitale, il 26 settembre 1990, è stato eccezionale nella prima parte della sua avventura artistica e assai meno nella seconda, quando forse il genio si era attenuato e la fama ormai bastava da sola a garantirgli notorietà, consenso e benessere. Fatto sta che, da “La ciociara” a “Racconti romani”, parliamo comunque di uno più importanti scrittori che l’Italia abbia avuto nel corso del Novecento, in grado di restituirci le emozioni, le sensazioni, i tormenti e le inquietudini di un paese uscito in macerie dal secondo conflitto mondiale e bisognoso di risollevarsi grazie al coinvolgimento della sua parte migliore.
Alberto Moravia è stato al centro di molteplici percorsi nonché della contestazione sessantottina che ne criticava non tanto il talento quanto il suo presunto essersi piegato ai dettami del pensiero borghese. Eccessi, esagerazioni, palesi e insensate forzature, specie se si considera il contributo decisivo offerto alla cultura italiana da una rivista come “Nuovi Argomenti”, fondata nel ’53 da Carocci e Moravia: la stessa, per intenderci, su cui Pasolini pubblicò la celebre poesia “Il PCI ai giovani”, in cui si schierava dalla parte dei poliziotti anziché degli studenti in merito agli scontri avvenuti il 1° marzo 1968 a Valle Giulia.
Moravia era un uomo in contrasto con certe mode, certe pretese, certe rivendicazioni e certi furori di cui vedeva tutti i limiti e l’impossibilità di avere uno sbocco positivo. Ciò nonostante, non si è mai sottratto al confronto, alla discussione, all’analisi, alla riflessione critica e anche allo scontro, alla battaglia, al contrasto acceso ma comunque positivo per la vitalità di un contesto che necessitava, sul finire degli anni Sessanta, di essere profondamente rivoluzionato.
Moravia è stato un protagonista di primo piano del panorama letterario, diremmo quasi un monarca, un autore che ha condizionato i contemporanei e fatto il bello e il cattivo tempo, esercitando quello che potremmo definire un vero e proprio potere. Fatto sta che la sua perdita ha generato un vuoto che, da allora, non è mai stato colmato e non può esserlo, poiché un’esperienza di vita così intensa, profonda e segnata da ben due conflitti mondiali è probabilmente irripetibile.
Di Moravia ci manca, soprattutto, l’esempio, la dignità della scrittura che ha dimostrato in particolare all’inizio e la forza d’animo con cui ha vissuto, battagliato, modificato l’immaginario collettivo e affrontato i giorni della fine, come solo i grandi, anche quando deludono, sanno fare.
P.S. Dedico quest’articolo a due grandi artiste come Loretta Goggi e Loredana Bartè, splendide neo-settantenni, e alla memoria dell’indimenticabile Juliette Gréco, scomparsa lo scorso 23 settembre, la cui vita inimitabile era e resta un esempio per tutti noi.
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