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90° minuto, Valenti e l’umanità del calcio

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Era il 27 settembre 1970 quando andava in onda la prima puntata di 90° minuto, nato da una delle tante formidabili intuizioni di Paolo Valenti, di cui il prossimo 15 novembre ricorrerà il trentesimo anniversario della scomparsa. Un giornalista funambolico, un vulcano di idee e proposte, fu sua la voce che nell’aprile del ’67 raccontò, in diretta dal Madison Square Garden di New York, l’incontro dei paesi medi fra Benvenuti e Griffith, in un perfetto connubio fra la grande boxe e un racconto fatto di emozioni, passione e competenza.
Quando Valenti si inventò 90° minuto, sfidando l’egemonia, fino a quel momento incontrastata, della Domenica Sportiva, avvenne, nella televisione italiana, un cambiamento che diede avvio a una nuova epoca. Un uomo sobrio e misurato come Valenti introdusse, infatti, la figura del mezzobusto riconoscibile, trasformando i giornalisti in personaggi e realizzando una narrazione familiare, meno formale ma non meno autorevole di quella della DS, con un calcio che entrava in casa con la parannanaza e volti noti divenuti quasi persone di famiglia,  come Tonino Carino, Luigi Necco e molti altri ancora.
In 90° minuto c’era tutto il buongusto della RAI di allora: un servizio pubblico orgoglioso di essere tale, appassionato e in sintonia con un’Italia che possedeva ancora il valore dell’umiltà, non inquinata dalla violenza, dalla ferocia e dall’odio con cui siamo chiamati a confrontarci in questa stagione.
Cinquant’anni e lo spezzatino delle partite con cui siamo costretti a fare i conti oggi. Cinquant’anni e la sensazione che di quella familiarità, di quella genuinità, di quella bonomia e di quel gusto per la vita e per un’idea gentile di giornalismo e del nostro stare insieme sia rimasto poco o nulla.
Cinquant’anni dalla nascita di 90° minuto e l’amara considerazione che di personalità come Valenti, Barendson e Pascucci non ce ne siano più.
Trent’anni senza Paolo Valenti e il dolore, non ancora attenuato, per una perdita che ha reso evidente a tutti un nuovo cambio d’epoca. Un’epoca, quella attuale, nella quale facciamo fatica a riconoscerci e che proprio non riusciamo ad apprezzare.

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