Una sera di molti anni fa, dei primi anni sessanta del secolo scorso, fui attratto da una cosa che il televisore in bianconero stava mandando. Mi si rivelava un mondo a me sconosciuto da sembrare far parte di un altro. Eppure, avrei appreso qualche anno dopo, poco distante dall’uscio di casa. La rivelazione di quel micro cosmo, di donne vestite di nero che raccontavano nel cimitero ai morti le questioni di giornata, mi fece dire tutto ad un tratto che anche io un giorno avrei raccontato in tv le storie di gente comune. Insomma che anch’io un giorno avrei fatto quel mestiere lì.
– Sì, sì, un giorno farai anche tu quelle cose in tv, disse mia madre, alzando gli occhi al cielo. Anzi le farai – proseguì – appena hai finito di mangiare e sbrigati a finire, perché poi si deve andare anche a letto a dormire.
Il ricordo di quel documentario mi ha poi accompagnato negli anni. Nel corso di una collaborazione alla rivista della regione Emilia-Romagna, il mensile Laguna, pensai di scrivere un articolo a proposito. Andai alla ricerca del documentario, riuscii a vederlo di nuovo, venendo a scoprire che quel gioiello di film, “I vivi e i morti di Goro”, era di Sergio Zavoli. Chiesi di lui, ottenni il numero di casa e quando lo chiamai per proporgli un’intervista a proposito di quel suo lavoro, si mise a disposizione con grande umiltà. Il pezzo fu pubblicato nel giornale e secondo gli accordi, gli inviai copia per fax. Dopo averlo letto, mi telefonò dicendomi di continuare ad inviargli le cose che avrei scritto in seguito, sempre per fax.
E così iniziò un rapporto fatto di fax.
Il 3 novembre del ’93, la piazza Cavour di Rimini, era colma di persone attonite e in silenzio per dare l’ultimo saluto a Federico Fellini, quel loro concittadino, del quale spesso non avevano compreso la grandezza. Tonino Guerra raccontò alla folla:
– Quando io ho lavorato a Roma con lui per molti anni, forse da romagnolo un tantino troppo sentimentale, chiedevo a Federico: “Ma tu stai pensando alla Romagna? Tu stai pensando a Rimini?”. Devo dire che mi ha sempre risposto: “Guarda Tonino, ho come l’impressione di essere nato a Cinecittà”. E infatti, tante domeniche lui mi portava a Cinecittà, entrava nel teatro 5 e accendeva le luci. Ho capito soltanto adesso che in quel vuoto del teatro, lui stava creando i muri di Rimini, stava creando il suo paese dell’anima.
Passò un anno o poco più. Un pomeriggio, mi trovavo in una piscina in collina insieme ai miei figli, quando l’altoparlante annunciò che ero cercato al telefono. – Ha telefonato Zavoli e dovresti richiamarlo, questo è il numero.
Lo chiamai e mi disse di prendere un treno e raggiungerlo a Napoli al Mattino, giornale del quale aveva appena assunto la direzione. La mattina seguente, entrai in quell’edificio di via Chiatamone e sarebbe iniziata un’altra storia fatta di fax. Dopo avermi presentato ai colleghi dicendo loro che sul lavoro non conosceva paesani, mi diede carta bianca, ospitando i reportage spediti direttamente al direttore per fax. Annunciati da una telefonata: – Sergio ti mando il fax. Fu un anno nel quale il timer scorse di continuo, senza soluzione di sosta. Per chi ama questo mestiere, che mestiere non è, quando si trova sul campo a raccontare una storia, il tempo scorre veloce e tutto il resto è una parentesi noiosa.
Il periodo napoletano, in quell’anno di reportage, mi regalò un‘esperienza da togliere il sonno, per la sua bellezza e un’amicizia sincera con una persona divenuta di casa. Nei giornali i direttori cambiano. Zavoli si dimise, al suo posto il vice, Paolino Graldi e dall’albergo Santa Cristina dove alloggiavo, telefonai a casa dicendo che l’esperienza era finita, perché mi sembrava giusto fare così.
I reportage scritti per il Mattino, diretto da Sergio Zavoli, furono raccolti in un libro e mai titolo fu più azzeccato, come “Sergio ti mando il fax”. Un titolo che gli piacque davvero, scrivendo una prefazione che ricordo come un dono prezioso.
Sergio nel ‘95 rientrò in Rai, con una nuova inchiesta per Rai Uno, “Credere non credere”, ed io in punta di piedi, entrai a far parte di quella sua redazione storica. Diretta da un direttore d’orchestra in grado di far suonare allo stesso livello i talenti minori e maggiori. Di questi ultimi, ricordo Daniele Carminati, Nelly Pulice, Luca Cardinalini e Salvo Pons de Leon, già autore de La Calìa, un libro che avrebbe meritato ben altra fortuna, come fu negata all’autore.
Al termine di quella prima inchiesta, il Tg Uno ripropose il settimanale storico di approfondimento “tv7”. Conobbi il curatore, Romano Tamberlich e in quel primo incontro a Saxa Rubra, ebbi l’impressione di conoscerlo da sempre. Romano, grande persona e tra i migliori giornalisti della storia della Rai. Un amico che mai dimenticherò. Il primo pezzo per il settimanale, fu un’intervista a Dario Bellezza, l’ultima concessa dal poeta.
Negli anni a seguire, alternai alla collaborazione con “tv7”, le inchieste di Sergio, “Viaggio nella giustizia”, “C’era una volta la prima repubblica” e al termine dell’inchiesta del ‘98, “Viaggio nel calcio”, comunicai a Sergio la conclusione di quella bellissima esperienza, di una scuola di giornalismo impareggiabile, per intraprendere strade autonome e diverse. Sergio fu dispiaciuto ma capì la mia decisione. Continuammo a sentirci e a vederci, noi due e le nostre rispettive famiglie. A volte, come spesso succede, ci siamo persi di vista, per ritrovarci poi davanti ad un piatto di saraghine o in un viaggio a Pennabilli, giorno di festa, per incontrare Tonino il poeta, Lora, Clelia e Gianni, amici fraterni comuni.
In quel 3 novembre del ‘93, in piazza Cavour di Rimini, Tonino nell’orazione funebre, salutò per l’ultima volta l’amico scomparso:
– Federico, ieri sera sono venuto qui a Rimini per darti la buona notte. Questa mattina, sono tornato per dirti buongiorno.
Poi Sergio fece vibrare le menti e i cuori della folla assiepata in silenzio:
– Federico, la tua scomparsa ha qualcosa di innaturale, come se un’estate, di colpo, smettessero di farsi udire i grilli, il mare, gli uccelli. Come se le lucciole, che nella voce della luna appaiono in un punto sempre diverso del buio, non palpitassero più nel grano … Ci sono tutti, in questo pomeriggio di novembre che già annuncia l’inverno. Anche i ragazzi di Amarcord, che sulla terrazza del Grand Hotel ballarono tenendo in braccio la nebbia … Quel ragazzo di Rimini che un giorno, con un metro di pellicola, l’apparizione del Rex del nostro mare, farà sognare un nostro sogno in ogni contrada della terra … Di qui a poco farai una strada che hai molto amato, quella del Fulgor e poco più avanti ci saluteremo. Quella strada è di casa, è di noi tutti. Conosce da millenni il venire e l’andare dei nostri passi.
Caro Sergio, quelle tue parole dedicate a Fellini valgono anche per te. Tu, ragazzo di Rimini partisti alla volta di Roma, regalando nel tempo racconti della vita, quale Maestro precursore dei tempi. Raggiungendo cime soltanto tue. Oltre il cinema Fulgor, saluterai Federico e riposerete accanto. Oltre la strada di tutti voi, che da millenni, conosce il venire e l’andare dei
passi.