“Se per la propria vita non si immagina un progetto, un obiettivo… Sono le scelte – prese o mancate – a tracciarne il percorso!”
E’ proprio dalle scelte che inizia il viaggio – lungo quasi quarant’anni – in cui ci accompagna Federico Raponi, classe ‘68, con “Quando il fumo si dirada. Momenti di una vita tra politica, arte e cultura partigiane”, edito da StreetLib, disponibile online (124pp, 3 Euro). Un’autobiografia – ma forse sarebbe più giusto definirla una testimonianza – che inizia quasi in sordina, con una serie di aneddoti familiari, ma che procede via via in un crescendo, assumendo, con l’avanzare delle pagine, una dimensione più politica e culturale: corre veloce attraverso gli anni – dagli ’80 ad oggi – ripercorrendo le battaglie, la militanza politica, l’impegno civile, la passione per il cinema, la radio, i giornali, le tante amicizie e gli accadimenti di quel periodo.
Federico Raponi o ‘Fedingo’ – così ribattezzato dai tempi di Askatasuna, il centro sociale occupato autogestito in via della Nocetta, nel suo quartiere, Monteverde – parla di sé, pur prediligendo la terza persona, raccontando la sua esperienza, che diventa tuttavia paradigma di un’epoca e si presenta come un affresco potente di alcuni quartieri di quella Roma in cui i ragazzi – di concerto o meno con il Comune – si riappropriavano di alcuni spazi dismessi. La narrazione si snoda, tra entusiasmi e delusioni, dalla Pantera alle prime occupazioni, dall’esperienza del Teatro Valle occupato a Ror – Radio Onda Rossa (autogestita, antagonista e indipendente), una tappa ventennale, alla quale approda – dopo una breve parentesi liceale con “Fuori dai banchi” – con il programma “Voci della Resistenza” negli anni del processo Priebke, restandovi con le trasmissioni dedicate al cinema, al teatro, alla musica, alla politica… “Del resto Federico crede fermamente nella funzione catartica della cultura per cambiare la società”.
Nel suo racconto non manca il resoconto degli attacchi dei gruppi fascisti, dei tanti sgomberi e anche degli arresti, esperienza, quest’ultima, a Rebibbia, che lo segna profondamente. “Il contraccolpo della prigionia ha i suoi effetti: Fedingo non riprende l’attività di volontariato al Don Guanella e lentamente abbandona l’università… Piuttosto continua a praticare un ulteriore avvitamento nella militanza. Anche se, dati gli obiettivi e i rapporti di forza in campo, la lezione dei giorni in carcere è che – ora – non c’è una battaglia per cui valga la pena finire di nuovo dentro”.
E poi le esperienze di solidarietà internazionale, prima in Chiapas, quindi in Kurdistan. Il risultato è una sintesi efficace di quegli anni, un racconto autentico (certamente di parte), appassionato e a tratti commovente – dedicato al padre, recentemente scomparso e a ‘Vali’, la sua compagna – preceduto da un’efficace introduzione del leader storico dell’Autonomia Operaia, Vincenzo Miliucci.