I tre migranti uccisi e i due gravemente feriti nella sparatoria a Khoms martedì notte, dopo essere stati intercettati e riportati nel paese da cui stavano cercando di fuggire, avevano un’età compresa tra i 15 e i 18 anni. È un nuovo tragico sviluppo che dimostra ancora una volta quanto i migranti in Libia subiscano violenze e brutalità che mettono a rischio la loro vita.
Subito dopo la sparatoria, avvenuta nel sito di sbarco, MSF ha organizzato il trasferimento d’urgenza dei due sopravvissuti feriti in un ospedale vicino e ha supportato le loro cure. Entrambi sono stati feriti da colpi di arma da fuoco e sono ancora profondamente sotto shock. Uno dei due è un parente di una delle vittime, colpito a morte davanti ai suoi occhi.
Testimonianze di prima mano raccolte da MSF indicano che le tre vittime e i due feriti facevano parte di un gruppo di 73 persone intercettate in mare dalla Guardia Costiera Libica, riportate indietro e fatte sbarcare a Khoms. Decine di loro, tutti sudanesi, hanno cercato di fuggire per evitare di finire in detenzione, e in quel momento è stato aperto il fuoco.
Alla fine 26 persone sono state portate in un centro di detenzione mentre altre sono riuscite a fuggire. Le équipe di MSF, che danno assistenza ai migranti vulnerabili nei centri di detenzione, li hanno visitati. Molti di loro erano ancora sotto shock e sofferenti.
Il gruppo era composto prevalentemente da giovanissimi: i tre uccisi e i due feriti avevano tra i 15 e i 18 anni e ci sono almeno 8 minori tra le 26 persone portate al centro di detenzione.
“Quanto accaduto martedì è scioccante e inaccettabile. Persone disarmate sono state colpite e uccise solo perché fuggivano disperatamente per evitare la detenzione arbitraria. Tutto questo è inconcepibile” dice Sacha Petiot, capo missione di MSF in Libia. “Come molti altri rifugiati e migranti in Libia, questi giovani sono stati trascinati in una spirale di brutalità e repressione mentre avrebbero bisogno di umanità e protezione”.
Non è la prima volta che accadono eventi tragici di questo genere in Libia. In un episodio simile, un cittadino sudanese è stato ucciso in un sito di sbarco a Tripoli nel settembre 2019. Recente anche un’atroce uccisione di massa, in cui i trafficanti di esseri umani hanno ucciso 30 migranti del Bangladesh detenuti in un capannone a Mizdah. Allo stesso tempo, nell’ultimo mese, si è registrato un aumento delle partenze e dei ritorni forzati, e una rinnovata tendenza a trasferire le persone nei centri di detenzione.
Poiché percorsi legali come voli umanitari e piani di reinsediamento sono attualmente sospesi a causa della pandemia di Covid-19, tentare il pericoloso viaggio attraverso il Mediterraneo è l’unica possibilità che hanno queste persone di fuggire da tali brutalità e abusi.
“Per l’ennesima volta ripetiamo che la Libia non può essere considerata un luogo sicuro dove portare le persone intercettate in mare – è invece un luogo in cui violenza, brutalità, repressione e privazioni sono condizione quotidiana per migliaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo” aggiunge Sacha Petiot di MSF. “Aspettiamo da tempo che vengano bloccate le politiche di rimpatrio forzato in Libia. L’UE deve supportare un meccanismo di ricerca e soccorso efficace nel Mediterraneo e un sistema sostenibile di sbarco in porti sicuri, invece che incoraggiare respingimenti illegali, e vanno riattivate urgentemente vie legali e sicure come il programma di evacuazione e reinsediamento dell’UNHCR”.
MSF lavora in Libia dal 2011. Oggi i team di MSF forniscono supporto a migranti, rifugiati e richiedenti asilo in sei centri di detenzione nelle regioni occidentali e centrali della Libia, nonché a Tripoli. I servizi forniti dai team di MSF comprendono assistenza sanitaria di base, trasferimenti negli ospedali, salute mentale, servizi di protezione e supporto per l’accesso ai bisogni di base, attraverso la distribuzione di cibo e beni di prima necessità, acqua e servizi igienico-sanitari.