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Matteo Mauri e gli odiatori della rete: “Sono tempi bui ma si può riemergere. I giornalisti vanno tutelati perché ne va della nostra democrazia”

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“Non sono sorpreso, visti i tempi. C’è un crescente attacco ai giornalisti e per quanto riguarda le minacce in rete siamo davanti ad un fenomeno che colpisce svariate categorie, dalla politica al mondo dell’associazionismo”. Vuole dire che sono “tempi bui” il viceministro dell’Interno Matteo Mauri, che con la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha avviato da tempo un percorso condiviso di tutela e vicinanza ai cronisti minacciati attraverso una serie di iniziative su territori complicati. Come la Campania. E’ probabilmente pure per questo che proprio Mauri ha stigmatizzato, tra i primi, le minacce al Presidente della Fnsi, Giulietti, e ai cronisti che sono stati duramente attaccati per i loro articoli sui migranti e sulle Ong.

“Ci siamo resi conto della situazione – dice adesso – quando il Ministro Lamorgese ha riattivato il Comitato sui giornalisti minacciati, che era stato praticamente dimenticato dal Ministro precedente. Si è capito immediatamente che c’era un problema ed era grave, anzi gli insulti e l’odio in rete si sono moltiplicati durante il lockdown”.
Il fatto che le minacce contro la stampa siano salite di livello, al punto da toccare i vertici, questo non era prevedibile. Non trova?
“Devo dire che questa ‘svolta’ ha colpito anche me perché stiamo parlando di una figura di primissimo piano, quella di Giuseppe Giulietti appunto, che difende in ogni sede i cronisti minacciati, tutti, da quelli famosi all’ultimo dei collaboratori e riesce a spiegare il valore di questa battaglia in una democrazia. Il punto è che, purtroppo, siamo davanti ad una escalation di minacce che parte da forme di populismo per diventare qualcosa di diverso e pericoloso. Qui si vuole zittire chi fa un racconto preciso dalla realtà ed è in quel momento che entra in gioco il pericolo per la democrazia. Voglio dire che al di là delle diversità di opinioni va sempre assicurata la possibilità di raccontare ciò che accade, ne ha bisogno il Paese, ne abbiamo bisogno tutti”.
Guardiamo questa storia sotto un altro aspetto: perché si stanno moltiplicando le ‘batterie’ in rete contro i migranti e contro chi racconta la realtà verificata sugli sbarchi? Perché adesso, a un mese dal voto? Da viceministro dell’Interno vede un nesso?
“Non abbiamo evidenze in tal senso. Il fatto che si stia accentuando un cerro fenomeno sui social, che batte molto sull’argomento, caro ad una certa forza politica, questo è chiaro. Direi che il punto di fondo però è la recrudescenza di certe forme di razzismo, di odio sui social che si è visto in altri momenti, penso agli attacchi alla Boldrini per esempio. Cioè: c’è chi soffia su quel tipo di fenomeno. Non credo che sia sempre e solo organizzato. C’è anche un’organizzazione che valuta tempi e modi, magari è finanziata. Ma va pure detto che tante volte le minacce, gli epiteti irripetibili, gli insulti vengono da persone che non sanno di commettere un reato. Pensano che uno sulla rete può dire e scrivere cose gravissime senza rischiare nulla. E non è così”.
Molti di questi “ignari odiatori”, sono stati denunciati e hanno così scoperto che non si può fare. Come spiegarlo a tutti?
“Intanto io credo che si debba spiegare a tutti che la rete non è svincolata dall’applicazione delle regole che già ci sono nel nostro ordinamento. Il reato di minaccia è tale ovunque, punto. Poi dobbiamo ricordarci che tutto ciò di cui stiamo parlando, ossia i reati con affermazioni e post avvengono su piattaforme private e quindi per arrivare a qualunque forma di altra regolamentazione generale bisogna avviare un percorso che includa la collaborazione di tali piattaforme. Io credo che, intanto, dobbiamo applicare le regole che già esistono e comunque che nello specifico, circa le minacce ai giornalisti, il tema andrà affrontato in sede di comitato proprio come abbiamo già fatto in questi mesi. E’ nostro dovere, niente di più. Ma neppure niente di meno. E’ doveroso proteggere la libertà dei giornalisti di raccontare perché ne va della nostra democrazia”.
Pensa che si possa arrivare a risalire a chi c’è dietro quella parte organizzata dei “picchiatori” della rete?
“Con metodi investigativi, certo. Ripeto: un conto sono quelli che postano o rilanciano senza nemmeno sapere cosa rischiano e qui va comunque affermata la responsabilità penale personale. Altro è risalire a chi finanzia, organizza questo fenomeno e perché lo fa. Anche qui con un’analisi rigorosa si può fare chiarezza”.


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