Nominata portavoce per la libertà d’espressione presso le Nazioni Unite, dovrà occuparsi di chiusure dei siti web, di algoritmi che moderano l’informazione online, di violazioni dell’anonimato in rete ma anche dell’uso di strumenti avanzatissimi per la sorveglianza di massa
Irene Khan è stata nominata portavoce delle Nazioni Unite per la libertà d’espressione e oggi circa venti organizzazioni per i diritti umani e civili hanno deciso di pubblicare una lettera di benvenuto all’avvocata del Bangladesh per augurarle un intenso e proficuo lavoro.
Non si tratta solo di un gesto di cortesia. A luglio Khan, che è stata presidente di Amnesty International dal 2001 al 2009, è stata attaccata con inusuale acrimonia in un editoriale di Newsweek e da alcune pubblicazioni conservatrici per la sua supposta vicinanza alla Cina. Non solo le si rimprovera la trasformazione di Amnesty International in un un’organizzazione che non si occupa più solo di incarcerati e torturati, ma di occuparsi di diritti umani a tutto tondo. Una posizione che l’avvocatessa ha sempre giustificato dicendo che chi ha la pancia vuota non legge i giornali e non usa Internet.
Oggi grandi organizzazioni come Access Now, che difende il diritto a Internet, l’Association for Progressive Communication e Amnesty stessa, si schierano però al suo fianco e le indicano la strada da seguire per i prossimi sei anni. L’obbiettivo è promuovere e proteggere la libertà di espressione in tutto il mondo perché “gli attacchi contro le voci dissenzienti si sono intensificati, mentre i governi hanno progettato leggi repressive per mettere a tacere le critiche e l’opposizione, comprese le leggi basate sulla disinformazione e le ‘notizie false’, la diffamazione e gli insulti.”
Hanno ragione. Oggi non basta più difendere i giornalisti e il lavoro dei media professioniali, ma bisogna affrontare le nuove sfide della libertà d’espressione: lo shutdown dei siti web, l’uso di algoritmi impersonali per moderare l’informazione sui social, le interferenze sugli strumenti di crittografia per le comunicazioni sicure, la violazione dell’anonimato in rete ma anche l’uso di strumenti avanzatissimi per la sorveglianza di massa.
Sono le sfide oggi affrontate da giornalisti, operatori dei media, scrittori, blogger, difensori dei diritti umani, accademici, artisti e altri attori della società civile presi di mira per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione e aver criticato questa orwlliana società della sorveglianza digitale.
GIORNALISTI UCCISI
Secondo Reporters senza frontiere nel solo 2020 sono stati uccisi 17 giornalisti e tre ‘stringer’, i loro assistenti. Ma in questi anni abbiamo assistito a ogni sorta di abuso nei confronti di chi ha fatto della libertà d’espressione e del pluralismo dell’informazione la sua bandiera. Whistleblower e hacker che difendono i diritti umani come Ola Bini, editori come Julian Assange incriminati di spionaggio; Patrick Zaki, il giovane egiziano che studiava a Bologna, incarcerato per propaganda anti-regime a causa di qualche post su Facebook; Jamal Khashoggi, pedinato con un malware telefonico e poi sciolto nell’acido nell’ambasciata arabo-saudita di Istanbul. Ma gli esempi sono tanti. Solo in Italia, ci ricorda l’associazione di Alberto Spampinato, Ossigeno per l’informazione, ogni giorno tre giornalisti vengono minacciati. Grande tema è poi quello della sorveglianza di massa, la moltiplicazione delle telecamere di sorveglianza che, come hanno ammesso Microsoft e Amazon, il più delle volte si sbagliano a riconoscere i volti e i responsabili dei reati a loro attribuiti.
Per i sottoscrittori della lettera a favore di Irene Khan bisogna quindi trovare soluzioni innovative per contrastare tali tendenze e garantire la sicurezza e la protezione di ogni attore a livello nazionale e internazionale valorizzando l’impegno civico che si svolge attraverso canali virtuali e condividere le migliori pratiche nella creazione di un ambiente legale e normativo che consenta lo sviluppo di un panorama mediatico libero, diversificato e pluralistico. A cominciare dalla lotta al digital divide per il diritto di accesso alle informazioni. Temi cruciali per la partecipazione pubblica, la trasparenza e la responsabilità dei cittadini, strumento per combattere la corruzione e l’impunità dei potenti. Un’azione complessa e cruciale, soprattutto quando si tratta di proteggere donne, minoranze etniche e razziali, minoranze religiose, popolazioni indigene, persone LGBTQ, migranti, rifugiati, sfollati interni, tutti quelli che la libertà di parola troppo spesso non ce l’hanno.
Un approccio alla libertà d’espressione che, dicono le associazioni, dovrebbe essere al centro dell’incarico del portavoce delle nazioni unite.