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La riduzione del numero dei parlamentari: una questione che sta dividendo più di quanto dovrebbe

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Il testo della legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari e’ stato approvato  dal  Senato della Repubblica, in seconda votazione, con la  maggioranza  assoluta dei suoi componenti, nella seduta dell’11 luglio 2019, e dalla Camera dei deputati, in seconda votazione, con la maggioranza dei due  terzi dei suoi componenti, nella seduta dell’8 ottobre 2019.

La modifica costituzionale porta il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori elettivi da 315 a 200. Dato che al Senato si è avuta la “sola” maggioranza assoluta gli elettori dovranno pronunciarsi in un referendum indetto per il 20 e 21 settembre, dopo il rinvio causato dell’epidemia.

Devo premettere un paio di considerazioni di metodo. La prima riguarda l’entità della riforma. Si tratta di una riforma molto circoscritta che riguarda la sola riduzione del numero dei parlamentari ed investe tre articoli della Costituzione. E’ quindi molto diversa dagli interventi degli ultimi anni che segnavano un cambiamento di una larga parte della Costituzione e che presentavano seri problemi di compatibilità rispetto all’art.138 Cost. Ad una riforma puntuale è difficile chiedere organicità perché una volta scelta la strada degli interventi puntuali, le eventuali integrazioni seguiranno necessariamente anche sul terreno della legislazione ordinaria (es. legge elettorale) o dei regolamenti parlamentari.

La seconda considerazione riguarda la motivazione della legge di riforma. Le eventuali motivazioni, più o meno appropriate (come ad esempio quelle discutibilissime relative ai risparmi), non hanno niente a che fare con il contenuto normativo. Il giudizio in una consultazione referendaria, deve riguardare il contenuto e non la motivazione. Il primo è destinato a restare, le motivazioni hanno invece un rilievo assolutamente marginale e contingente.

Provo ad indicare ora le principali motivazioni che mi inducono a votare positivamente in questa consultazione diretta a confermare la riduzione del numero dei parlamentari della Camera dei deputati (da 630 a 400) e del Senato (da 315 a 200).

La prima risiede nel fatto che in tutti gli interventi di riforma costituzionale degli ultimi anni, la riduzione del numero dei parlamentari ha rappresentato un’assoluta costante. Quindi si può dire con certezza che tutti coloro che hanno affrontato il tema delle riforme, hanno considerato il tema della riduzione, come una scelta pacifica. Certo il tema era inserito in contesti più ampi, ma una volta che si è scelta la strada delle riforme puntuali, questa scelta non deve sembrare assolutamente impropria.

La seconda motivazione risiede nel fatto che rispetto al 1948 molte cose sono mutate nel quadro politico legislativo. L’attività normativa non rappresenta da tempo esclusiva del Parlamento e si è venuto delineando un sistema di produzione normativa multilivello, nel quale accanto al Parlamento esistono, almeno altri due livelli importantissimi: da un lato quello regionale e dall’altro quello europeo. Vi sono sistemi di rappresentanza ai diversi livelli ed in questo nuovo contesto non è assolutamente improprio che gli organi rappresentativi abbiano un minor numero di componenti.

In terzo luogo una riduzione del numero dei parlamentari che segni per la Camera dei deputati un rapporto di uno a centocinquantamila e per il Senato un rapporto di uno a trecentomila non appare assolutamente inappropriato od incongruo. Del resto i rapporti nei Parlamenti degli altri Paesi europei non sono poi così distanti e la vicina Francia sta riflettendo proprio in questi ultimi anni su una riforma che prevede una riduzione delle Assemblee tra il 30 e il 25 per cento, arrivando a numeri molto vicini ai nostri.

In quarto luogo all’obiezione di chi ritiene che con numeri più ridotti dei componenti si possa sacrificare il pluralismo politico o territoriale, si risponde con una idonea legge elettorale che, valorizzando gli elementi proporzionali, come già abbiamo avuto in Italia, possa consentire la rappresentanza delle forze politiche minori e favorire un’appropriata distribuzione territoriale. La legge elettorale si deve fare con legge ordinaria ed è quindi logico che segua la modifica costituzionale e non la preceda, come si era pensato erroneamente in passato.

In quinto luogo non sarebbe improprio concentrarsi, attraverso una seria legislazione sui partiti politici, sulla qualità della rappresentanza parlamentare, dal momento che sarebbe assolutamente miope pensare che questo problema non debba avere soluzioni più appropriate.

Infine e in conclusione, per evitare di andare troppo per le lunghe, è bene considerare che la nostra Carta costituzionale ha conosciuto in questi settanta anni numerosissime riforme puntuali. Se si lascia da parte la riforma del 2001 che ha modificato ampiamente ed un poco frettolosamente il Titolo V della Carta, si sono avute una quindicina di leggi costituzionali che hanno modificato una trentina di disposizioni costituzionali. E’ opportuno quindi considerare come fisiologica la manutenzione costituzionale e adattarsi a processi di riforma mirati e adeguati alle necessità del periodo che si sta vivendo.

Roberto Zaccaria
Professore di Diritto costituzionale, già insegnante nell’Università di Firenze


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