In Somalia meglio che il Premier sia donna

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La pandemia da corona virus che ha dilagato nel mondo dall’inizio del 2020 ha messo alla prova tutti gli  Stati. Alcuni hanno reagito con esiti positivi, limitando morti e contagi, altri meno.

Tra i Paesi che hanno contrastato meglio l’infezione si sono distinti l’Islanda, la Finlandia, la Norvegia, la Danimarca, Taiwan, la Nuova Zelanda e la Germania. Questi sette Paesi hanno una cosa in comune tra loro: sono tutti governati da donne. In Islanda governa la Sig.ra Katrín Jakobsdóttir; in Finlandia la Sig.ra Sanna Marin; in Norvegia la Sig.ra Erna Solberg; in Danimarca la Sig.ra Mette Frederiksen; Taiwan è presieduta dalla Sig.ra Tsai Ing-wen; la Nuova Zelanda dalla Sig.ra Jacinda Ardern e la Germania dalla inossidabile Angela Merkel.

Questa resilienza alla pandemia non sembra una semplice coincidenza tenendo conto che le donne leader nel mondo sono appena il 7% del totale.

Seppure sia vero – come ricordò Antonio Polito in un articolo apparso sul Corriere della Sera lo scorso 15 aprile 2020 – che non basta avere una donna al comando per fare meglio perché, per esempio, il Belgio, governato dalla Sig.ra Sophie Wilmes, è stato tra i più duramente colpiti dalla pandemia, è altrettanto vero che il confronto con i “machi” statisti è assolutamente deprimente.

Gli Stati Uniti di Donald Trump, la Russia di Vladimir Putin, la Cina di Xi Jinping, il Brasile di Bolzonaro, l’India di Narendra Modi, la Turchia di Erdogan sono certamente tra i Paesi più colpiti dal Covid 19 tanto da far apparire plausibile un’equazione tra virus e tasso di democrazia.

Non è chiarissimo perché le donne al governo abbiano dato prova migliore nella battaglia pandemica rispetto ai maschi “alfa” della politica mondiale. Indubbiamente hanno contribuito le strutture sanitarie già presenti nei loro Stati, ma la rapidità delle chiusure e l’allestimento dei presìdi per la tutela della popolazione è stata certamente frutto della tempestività, dell’intuito e della prudenza tutte declinate al femminile.

Si può dunque concludere che, quando la situazione si fa “veramente complessa”, è statisticamente meglio affidarsi alle donne.

Anche la Somalia è da decenni in una situazione “veramente complessa” e non si vede quindi perché, una volta licenziato dal Parlamento l’ex Primo Ministro Hassan Ali Khayre lo scorso 25 luglio 2020 e defenestrato l’ex Direttore Generale della Presidenza della Repubblica Federale Nur Dirie Hersi, detto “Fuursade”, autocandidatosi velleitariamente alla sua successione, non si debba adesso pensare a nominare una donna.

Invero la Somalia, nonostante il superamento della fase di transizione, rimane da anni in un limbo tra sicurezza e guerra civile, distruzioni e ricostruzioni, legge elettorale clanica e suffragio universale, sviluppo e arretratezza, opere pubbliche e siccità. Insomma, in continuo bilico tra guerra e pace.

È mai possibile che un esercito addestrato da anni dai migliori esperti mondiali (e l’Italia ne sa qualcosa!), appoggiato da migliaia di truppe internazionali e sostenuto dalle incursioni dei supertecnologici droni americani non venga a capo di circa seimila Al Shabab che infestano un’area ben conosciuta e perfettamente delimitata del Paese? È mai possibile che a Mogadiscio si asfalti una strada senza prevedere l’illuminazione né, nel suo sottosuolo, una fogna adatta allo scarico delle acque meteoriche sicché, nella stagione delle piogge, diventa un torrente che trascina con sé quelle poche ricchezze che il popolo riesce a racimolare con tantissimi sacrifici? È mai possibile che il complesso di Halane, che ospita a Mogadiscio le strutture delle Nazioni Unite, dell’UE e dell’Unione africana, nonché le ambasciate di paesi tra cui Stati Uniti e Regno Unito sia ridotto ad una discarica a cielo aperto, senza alcuna struttura per la raccolta dei rifiuti?

Non si tratta di problemi nuovi, spuntati all’improvviso come il corona virus. Eppure, gli uomini non sono fin qui riusciti a venire a capo di questi gravissimi problemi per quanto siano stati sin qui selezionati sempre in ambiti diversi e spesso con formazioni blasonate. Non sembra, quindi, un problema di autorevolezza o di clan più o meno versati a reggere le sorti comuni della Somalia. Più semplicemente potrebbe trattarsi di un problema di genere.

Non mancano le personalità femminili adatte alla carica di PM in Somalia.

Tra le tante figure particolarmente impegnate spicca il nome di Asha Hagi Elmi che ha mobilitato le donne per la causa della pace attraverso i clan e le divisioni politiche e continua a svolgere un ruolo vitale nella mediazione all’interno del processo di pace in corso in Somalia.

Degna di nota è anche Yussur A.F. Abrar. Nella sua carriera è stata Vicepresidente presso Citigroup, nonché Vicepresidente della gestione del rischio di credito presso l’American International Group di New York City. Abrar è anche la fondatrice e presidente di Warsun International Communications Corp. Da settembre a novembre 2013, è stata governatrice della Banca centrale della Somalia.

Sono da ricordare anche Halima Ibrahim Isamil, detta “Yarei” (piccola), Presidente della Commissione elettorale del Repubblica Federale di Somalia e l’attuale Ministro della Sanità, con cittadinanza anche italiana, Fawziya Abikar.

Per limitarsi, qui, a quattro soli luminosi esempi di impegno somalo al femminile.

E allora? Proviamo con una donna!

Fonte: Blog Repubblica


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