Il confronto è sempre auspicabile ma non può prescindere dai valori della Costituzione

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Caro Direttore, innanzitutto grazie per l’attenzione che dedichi alla Fnsi e per la vivacità di un dibattito in cui hai dato spazio a tutte le voci, anche a quelle di coloro – liberali a giorni alterni – che nei loro siti sono abituati a censurare le opinioni dissonanti, se non proprio a dileggiare gli avversari e a diffondere falsità. Permettimi un’ultima volta di approfittare della tua disponibilità per una breve replica in cui espliciterò ulteriormente il ragionamento sviluppato nella recente intervista.
Il segretario di Stampa Romana accusa il sottoscritto di fare torto alla sua intelligenza. Se per “intelligenza” intende la sua alleanza organica con la destra e con chi si richiama al populismo eversivo ha colto nel segno. È grazie a quell’intesa, politicamente legittima, per carità, che è stato rieletto al vertice di Stampa Romana. È forse per questa ragione che liquida sbrigativamente il tema delle minacce e degli insulti ai cronisti come un problema da risolvere in sede giudiziaria o disciplinare. Nessun dubbio che le minacce vadano sempre denunciate nelle sedi competenti, ma il segretario di Stampa Romana fa torto alla sua intelligenza – intesa come facoltà cognitiva – se pensa che il tema possa essere eluso sul piano politico.
Il segretario di Stampa Romana non può far finta di non sapere che esiste un evidente collegamento, peraltro facilmente documentabile, fra le critiche e le prese di posizione di alcuni sostenitori della sua maggioranza contro la Fnsi, politicamente legittime, e le campagne di alcuni squadristi da tastiera contro i vertici del sindacato, dal presidente Beppe Giulietti al sottoscritto. In alcuni casi possono risultare irrilevanti penalmente, ma come rilevato da Vittorio di Trapani e Maurizio Di Schino non possono essere espunti dalla discussione e dal confronto politico.
È evidente che si tratta di azioni che mirano a indebolire il sindacato dei giornalisti e gli altri enti della categoria, insieme con i loro rappresentanti eletti democraticamente. Su questo punto, politicamente dirimente per lui e per il governo della sua Associazione, il segretario di Stampa Romana non soltanto tace, ma prova a metterci anche del suo. Dalla sponda con il precedente sottosegretario all’editoria, mentre la Fnsi scendeva in piazza per difendere l’autonomia dell’Inpgi e il diritto alla sopravvivenza delle testate destinatarie del contributo per l’editoria, all’incontro con il presidente dell’Inps in piena campagna elettorale per il rinnovo dell’Inpgi. Che cos’era, quest’ultimo incontro, se non il tentativo di delegittimare i vertici dell’Istituto proprio nella fase in cui questi ultimi erano impegnati in un difficile, e per certi versi drammatico, confronto con il governo e con lo stesso INPS?

Lo stesso discorso vale per i rilievi di Massimo Alberizzi, che più volte non ha esitato a trasformare le sconfitte subite nel confronto politico-sindacale in battaglie giudiziarie – si veda quella contro l’ultimo contratto Fieg-Fnsi – perse rovinosamente. La dialettica può, e in alcuni casi deve, essere aspra, ma pensare che dopo il voto democratico degli organismi statutari del sindacato ci possa sempre essere una sorta di terzo tempo da giocare nelle aule dei tribunali significa avere un’idea distorta della politica e della dialettica sindacale. La visione del sindacato e i temi che da sempre contraddistinguono l’impegno di Massimo Alberizzi sono noti a tutti. Nessuno si è mai sottratto al confronto con lui, ma non può far finta di ignorare che le sue idee sono sempre uscite sconfitte dai Congressi della Stampa italiana. A meno che non si pensi che i Congressi siano sagre paesane, non si può accusare il gruppo dirigente della Fnsi – democraticamente eletto – di portare avanti le linee di politica sindacale approvate dalle massime assise della categoria. Non può dimenticare, Massimo Alberizzi, che sulla sua storica proposta di dar vita ad un organismo di base dei free lance è stato il Congresso a mettere una pietra tombale, con una maggioranza che è un eufemismo definire bulgara. Merita rispetto la sua avversione alle posizioni della Fnsi nelle battaglie per la libertà di stampa e la dignità della professione in Italia e nel mondo, e per la difesa dei diritti di tutti i giornalisti, soprattutto dei più deboli. A patto, però, che non dimentichi che quelle posizioni erano esplicitate nella relazione al Congresso e nella relativa mozione congressuale, entrambe approvate con una percentuale superiore all’80 per cento.

Per farla breve, sarebbe sufficiente che andasse a rileggere la relazione di apertura dell’ultimo congresso. Scoprirebbe, per esempio, che l’abbandono degli Stati generali dell’informazione convocati dal precedente governo era un atto dovuto di fronte ad un finale già scritto, che prevedeva un colpo mortale al pluralismo dell’informazione e il colpo di grazia agli enti della categoria, a cominciare dall’Inpgi. È indubbio che soprattutto quest’ultimo scenario intrigasse e continui a intrigare alcuni colleghi, ma non si può chiedere al gruppo dirigente del sindacato di condividerlo o di esserne complice. Il confronto è sempre auspicabile, ma per quanto riguarda il gruppo dirigente della Fnsi non può prescindere – come da mandato congressuale – dal riconoscimento dei valori fondamentali della Costituzione. Quegli stessi valori più volte richiamati dal presidente della Repubblica nelle settimane e nei mesi in cui l’informazione e i giornalisti italiani subivano attacchi senza precedenti ad opera di esponenti dell’allora governo, spesso nel silenzio, continuo a sperare non complice, di una parte della categoria.


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