Già durante la notte fra il 12 ed il 13 agosto 1961 gli abitanti di Berlino iniziarono a vedere operai e soldati che stendevano reticolati di fino spinato sulla linea di confine fra la parte Est da quella Ovest della città. L’ordine proveniva delle autorità della Repubblica Democratica Tedesca e Walter Ulbricht, capo di Stato della DDR e Segretario del Partito Socialista Unitario della Germania, per tacitare i primi allarmismi, dichiarò: “Nessuno ha intenzione di costruire un muro”.
La costruzione della barriera fra le due parti della città era stata invece decisa da tempo.
Nel 1945, prima della fine della II guerra mondiale, durante la conferenza di Jalta veniva stabilita la divisione di Berlino in quattro settori controllati e amministrati da Unione Sovietica, Usa, Regno Unito e Francia. Già prima del secondo conflitto mondiale i potenti avevano deciso di dividere la “Città dei cento villaggi”, come era soprannominata proprio per la sua capacità di integrazione e l’eterogeneità dei popoli che da sempre vi hanno vissuto. Nel 1948 il “Blocco di Berlino” dell’Urss determinò l’avvio di un ponte aereo da parte degli alleati per rifornire di viveri e generi di prima necessità i tre settori occidentali. Per 462 giorni centinaia di aeroplani, soprannominati dalla popolazione locale “Rosinenbomber” (bombardieri d’uva passa), trasportarono provviste, carbone e medicinali e caramelle per i bambini.
Con 278.228 voli, 1398 voli ogni 24 ore, ed il trasporto di almeno 1.500.000 tonnellate di carbone per riscaldamento e produzione di energia elettrica, si realizzò il più grande trasporto umanitario della storia.
L’Unione Sovietica tolse il blocco il 12 maggio 1949 ed i tre settori controllati da Stati Uniti d’America, Francia e Gran Bretagna erano di fatto territorio della Germania Ovest circondato dalla Germania Est. Il confine venne chiuso nel 1952 e circa 2,5 milioni di tedeschi dell’est passarono ad ovest tra il 1949 e il 1961, fino a quando fu possibile, così che quotidianamente masse di persone erano in continuo movimento verso il confine con la realtà occidentale. All’improvviso, chi fino al giorno prima era seduto alla stessa birreria a bere insieme, dal mattino del 13 agosto 1961 si trovò definitivamente separato dai propri affetti e dai luoghi che fino a poche ore prima aveva frequentato.
E fu proprio per fermare l’esodo di professionisti ed intellettuali, la Germania Est iniziò la costruzione di una divisione con il filo spinato, sostituito da una barriera di cemento di circa tre metri di altezza lungo tutto il confine della parte di città orientale.
Il muro era lungo più di 155 km, e nel giugno 1962 venne costruito un secondo muro all’interno della frontiera destinato a rendere più difficile la fuga verso la Germania Ovest. Fu così creata la cosiddetta “striscia della morte”, dove chi tentava la fuga veniva attinto dalle raffiche delle guardie poste sulle torrette a controllare i confini giorno e notte. Inizialmente c’era solo un punto di attraversamento per gli stranieri e i turisti, il checkpoint Charlie in Friedrichstraße, mentre le potenze occidentali avevano altri due posti di blocco, a Helmstedt (checkpoint Alpha) sul confine tra Germania Est e Ovest e a Dreilinden (checkpoint Bravo) sul confine sud di Berlino Ovest.
Il muro in pochi giorni divise famiglie e amici e la Volkspolizei, la Polizia della Germania democratica, si renderà responsabile dell’uccisione di circa 239 cittadini dell’est che cercarono di varcare il confine.
Il Muro di Berlino cadde nel novembre del 1989, ma la storia di questa sofferenza non è servita ai grandi poteri che continuano a non comprendere la disumanità delle divisioni. Altri muri oggi sono stati costruiti tra India e Bangladesh, tra Israele e Palestina, tra Botswana e Zimbabwe, tra Yemen e Arabia Saudita e qui vicino, tra Ungheria e Serbia, ma la costruzione di una barriera fisica fra le persone, per impedire movimento e comunicazione, rappresenta solo il fallimento del potere politico. Una politica che non è in grado di lavorare in favore della convivenza civile, dell’integrazione e della solidarietà fra le genti, e che si rifugia in un autocratico evitamento dei problemi, costruendo muri.
Ancora non si è imparato che i muri dividono fisicamente, ma le coscienze continueranno sempre a comunicare, ed aspireranno insieme a consolidarsi in una comune ribellione verso i regimi, e contro condizioni di vita inumane ed inaccettabili quali la fame, la guerra, le malattie. E tutti questi sforzi autoritativi per tenere separate la persone saranno inutile, come lo è stato per anni il muro che ha spaccato la città simbolo degli orrori della guerra e della integrazione multietnica.
L’umanità travolgerà le nefandezze del potere, perché prima o poi abbatterà tutti i muri per costruire invece sempre più ponti.