I cani di Lampedusa e la catena di fake news che avvelena tutto

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La notizia falsa confezionata ad arte, pubblicata da un quotidiano, amplificata da una batteria social schierata in modo militare e poi, in un solo giorno, vengono a galla elementi, prove, collegamenti di una rete che costruisce fake news e minaccia chi le smaschera. Tutto ruota attorno alle politiche sull’immigrazione. Ma non solo. In ballo c’è molto altro, per esempio la violazione sistematica della Costituzione. L’ultimo giro di questo assurdo valzer parte dalla notizia sui cani mangiati dai migranti a Lampedusa. La denuncia della padrona delle povere bestie di cui si era detto fossero stati ritrovati solo i resti comincia con un articolo su Libero. In poche ore fa il giro del web, specie su alcuni profili che quotidianamente pubblicano immagini di migranti che rubano, defecano in pubblico e altro di simile. Poi però il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, manda a fare una verifica e scopre che l’autrice della denuncia si dichiara titolare di un’azienda agricola che non risulta in atti. Insomma ci potrebbe essere anche qualche abuso. I resti di cui parla la denuncia risalgono a sei anni fa, almeno. Così proprio Martello ha rilanciato una preoccupazione divenuta ormai ineludibile per tutti, ossia quella di trovare un modo per fermare la diffusione di fake news che creano allarme sociale e danno economico ai territori. Martello chiede sanzioni esemplari e intanto questa affermazione ha scatenato una ulteriore campagna di odio contro di lui e tutti quelli che hanno smascherato la fake news sui cani. E in questa discesa rapida verso la peggiore disinformazione, verso la caccia alle streghe e contro la cronaca rigorosa spunta una sorta di lista di proscrizione. Lo ha scoperto in queste ore uno dei “proscritti”, Alex Orlowski, il fondatore e presidente di Water on Mars, un’agenzia specializzata in strategia e contenuti creativi per i social media che opera a livello internazionale, definito un “soggetto ad elevata pericolosità” sul software Antifa hunt. Che la solidarietà e l’indignazione non bastino più adesso è evidente.

(nella foto Totò Martello)


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