Gli influencer riconducibili alla destra scatenati contro la Fnsi. Ecco perché. E quando hanno iniziato. I segreti e le mire indicibili di un movimento che non ce l’ha solo con i migranti ma con la democrazia

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Da qualche mese alcuni influencer riconducibili alla destra (Casapound e dintorni) stanno attaccando sui social (soprattutto Twitter) alcuni giornalisti più esposti sul tema dei migranti. L’attacco ora arriva ai vertici della Federazione nazionale della Stampa (FNSI) e del sindacato dei giornalisti RAI (UsigRai). Cosa si cela dietro questa campagna? Ecco un’analisi che avevo pubblicato all’inizio del 2018, quando la rete social della destra si occupava soprattutto di Ong. E’ la prima parte di un’inchiesta non semplice; a breve la seconda parte.


C’è un neologismo inglese utile per iniziare a capire la politica nell’epoca della manipolazione sui social e sul web. E’ l’astroturfing, termine coniato negli Usa negli anni ’90, utilizzato per indicare tecniche di marketing aggressivoAstroTurf è il marchio registrato di un’erba artificiale prodotta dalla Monsanto, utilizzata per la copertura dello stadio Astrodome di Houston. Il termine è poi entrato nel linguaggio del mondo del marketing, utilizzato in contrapposizione con grassroot, radici dell’erba, vocabolo traducibile in italiano in politica dal basso. L’astroturfing “indica qualsiasi categoria merceologica o anche, per esempio, un’idea politica che, lungi dall’essere radicata da tempo in una comunità, gode in realtà di una promozione a tavolino e di una serie di falsi ricordi costruiti artificialmente da un gruppo di marketing organizzato” (vedi: Astroturfing su Wikipedia).

L’astroturfing nasceva, dunque, come tecnica di marketing – e di manipolazione dell’opinione pubblica – per imporre un prodotto nuovo, creando artificialmente la sensazione di acquistare qualcosa di indispensabile e, soprattutto, di riconoscersi nel prodotto.

Le campagne di odio, le fake-news, la propaganda su social e sul web hanno in comune questa e altre tecniche di manipolazione. Forzano una comunità – spesso omogenea, divenuta target per campagne mirate – a riconoscersi in visioni del mondo costruite a tavolino, elaborate in maniera tale da appagare paure o bisogni. L’iniezione virale della comunicazione diventa talmente invasiva da far sparire quella che è la propria visione originale delle cose, cancellando l’esperienza diretta, la memoria del vissuto, sostituita dallo “pseudo-ambiente” definito negli anni ’40 dallo studioso Lippmann (vedi: Come si forma l’opinione pubblica. Il contributo sociologico di Walter Lippmann). Questo mondo artificiale viene creato e alimentato oggi soprattutto dai social e dal web (inteso nel senso più largo del termine, includendo versioni digitali dei giornali, ma soprattutto i blog, i mezzi di informazione alternativi e indipendenti, le community, etc.).

Le tecniche di profilazione dei social network funzionano, poi, da amplificatore: se tu fai parte di una certa community, vedrai soprattutto propaganda, notizie, informazioni pensate e costruite per alimentare ancora di più quel mondo dove sei immerso. Poco importa, alla fine, se quella visione delle cose sia costruita e imposta da tecniche di marketing. Dal punto di vista economico conta il click, la visualizzazione. Dal punto di vista emozionale e soggettivo quel flusso di informazioni provoca l’appagamento esistenziale. E, in fin dei conti, è la struttura stessa dei social network a basarsi su l’artificialità dell’appartenenza: comunità basate su condivisione di “like”, senza una conoscenza personale, diretta, reale. Una vera pacchia per chi deve gestire il marketing politico.

Come ti creo le Ong cattive

La lunga campagna elettorale in Italia inizia di fatto dopo il referendum costituzionale, quando Matteo Renzi si dimette. Si apre una finestra di opportunità, si respira aria di elezioni anticipate. Era il 4 dicembre 2016. Da qualche mese era in corso una campagna di propaganda profonda e su larga scala, con l’obiettivo – a volte apertamente dichiarato – di screditare il mondo delle organizzazioni non governative impegnate nella tutela dei diritti dei migranti.

Lo scenario, prima del referendum costituzionale, era già particolarmente complesso e instabile. Donald Trump si era aggiudicato le primarie repubblicane il 26 maggio 2016. Il 9 novembre 2016 è eletto presidente degli Stati Uniti, dopo una campagna elettorale aggressiva e condizionata da una massiccia operazione di manipolazione dell’opinione pubblica sui social network. Tra i temi chiave proposti da Trump c’era – e c’è – proprio la migrazione (la costruzione del muro con il Messico, l’abolizione dei diritti dei dreamers, i figli dei migranti irregolari nati negli Stati Uniti, tema molto vicino al dibattito italiano sullo ius soli) e l’islamofobia. Il presidente neoeletto era appoggiato dal vasto movimento dell’alt-right, l’estremismo di destra Usa, un network legato ai gruppi identitari europei.

Meno di una settimana dopo l’elezione di Trump, il 15 novembre 2016, il centro studi olandese Gefira pubblica un articolo accusando le Organizzazioni non governative (Ong) impegnate nei salvataggi in mare dei rifugiati partiti su gommoni dalla Libia di complicità con i trafficanti di uomini. L’autore – anonimo – dichiara di aver utilizzato i dati dei transponder Ais (sistema di tracciamento di imbarcazioni) per analizzare la rotta delle navi delle Ong. Secondo Gefira in alcuni casi i salvataggi sono avvenuti all’interno delle acque territoriali libiche (ovvero con distanza inferiore alle 12 miglia nautiche dalla costa). L’articolo conclude così: “Sembra che i salvataggi siano parte di una operazione ben organizzata di un pericoloso traffico di uomini”. In sostanza le Ong, secondo Gefira, rappresenterebbero l’ultimo tratto di migrazioni illegali organizzate da bande di libici.

Chi c’è dietro Gefira? Lorenzo Bagnoli su Openmigration ha raccontato bene l’evoluzione della gestiore di questo centro studi, mettendone in dubbio la neutralità (vedi: Chi sono Gefira e gli “identitari” di Defend Europe: le nostre interviste). A noi, però, interessa analizzare il contenuto di questo articolo e l’impatto che ha avuto sui social. E’ stata una operazione di marketing? Vediamo.

Gefira non ha svolto un’inchiesta di campo. Secondo quanto riportato dall’articolo l’unica evidenza utilizzata deriva dall’analisi dei tracciati Ais delle navi delle Ong. La complicità con i trafficanti libici deriverebbe dallo sforamento in acque nazionali, in una sorta di rendez-vous. Da qui nasce lo slogan delle Ong come “taxi del mare”.

Il dato, però, di per se non è assolutamente significativo, per almeno due ordini di motivi. I tracciati Ais possono essere manipolati, come dimostra lo studio di Marco Balduzzi – ricercatore italiano specializzato in sicurezza informatica – pubblicato già nel 2013. I segnali dei trasponder delle navi, si legge nella presentazione, sono trasmessi attraverso due canali: in radiofrequenza o via Internet, ma senza un sistema sicuro di autenticazione. Queste informazioni sono raccolte da piattaforme pubbliche come Marinetraffic (ovvero il servizio utilizzato da Gefira per l’articolo). Balduzzi pubblica pezzi di codice di un software in grado di simulare l’invio di segnali Ais, fornendo così informazioni errate ai sistemi di tracciamento della navigazione. Tecnicamente si chiama spoofing.

Tornando al tema dei migranti e delle Ong almeno un episodio di hacking del sistema Ais è stato denunciato e documentato, proprio da Marinetraffic. Riguardava la posizione di una nave della Ong Openarms, impegnata nelle operazioni di salvataggio di rifugiati: apparentemente era a circa due miglia dalla costa libica lo scorso luglio, mentre in realtà si trovava in tutt’altro luogo. Quel dato era stato falsificato da un hacker anonimo. Per inciso l’organizzazione Generazione identitaria pubblicò una schermata di Marinetraffic con la posizione “sospetta” della nave su Twitter; poco dopo la stessa organizzazione Openarms rispose al tweet denunciando l’hackeraggio del sistema.

Ammettendo, però, che i dati siano reali e non frutto di manipolazioni anonime, la posizione in acque territoriali delle navi di ricerca e salvataggio delle Ong non è di per se indicativa. Il Contrammiraglio Nicola Carlone, Capo del III reparto Piani e Operazioni del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera, nel corso di una audizione davanti al comitato parlamentare “Schengen”, rispetto agli “sconfinamenti” delle navi di salvataggio in acque libiche ha dichiarato:

Tengo a precisare che l’ingresso nelle acque territoriali, come ho detto all’inizio del mio intervento, seppur previsto dalle convenzioni internazionali non è mai stato esercitato in maniera autonoma dal Centro di soccorso e dalle unità coordinate da noi, ma sono sempre state effettuate attraverso una richiesta al Centro di soccorso libico, che ci ha o meno autorizzati, ci sono stati dei dinieghi: ci sono state delle autorizzazioni. Questo per rifarmi ad alcuni eventi che sono stati presentati dai media, dove le unità ONG o mercantili o unità di soccorso sono entrate nelle acque territoriali ma, per quanto ci riguarda, fino ad ora tutte le unità che sono intervenute sono sempre state autorizzate, i casi sono sporadici, sono circa 16 nell’anno 2016, quindi nessuna unità è entrata autonomamente quando sotto il nostro coordinamento. / bold nel testo mio /

Solo 16 episodi e sempre su autorizzazione delle autorità. 

Non solo. Il semplice sconfinamento in acque territoriali libiche non è indicativo di condotte illecite. La prova sta nelle carte dell’inchiesta della Procura di Trapani sulla nave Iuventa, sequestrata il 2 agosto 2017. Il decreto di sequestro indica come capo d’imputazione provvisorio tre comportamenti ritenuti illeciti: il trasbordo di migranti tra diverse navi, il contatto con presunti trafficanti e la mancata distruzione delle imbarcazioni utilizzate dai rifugiati. Su queste accuse pende un ricorso in Cassazione e la spiegazione che la Ong Iugend Rettet ha fornito è a mio avviso assolutamente chiara. In ogni caso neanche per l’autorità giudiziaria più severa con le Ong il solo sconfinamento in acque libiche è indicativo di complicità con i trafficanti.

Dunque l’analisi di Gefira è sicuramente suggestiva, ma oggettivamente infondata. Colpisce però l’analisi superficiale proposta, basata, come detto, su dati aleatori: nessuna intervista, nessuna conferma richiesta ad autorità italiane (bastava parlare con la Guardia costiera). L’articolo, d’altra parte, ha avuto un impatto enorme a supporto di una campagna di marketing politico continentale contro le Ong e contro i diritti dei migranti.

Il blogger italiano esperto di marketing

Il 10 marzo 2017 il blogger Luca Donadel pubblica su Facebook, Youtube e sul proprio blog il video “La verità sui migranti”. E’ la riproposizione tout court della ricerca di Gefira, utilizzando sempre i dati di Marinetraffic. Esordisce Donadel: “Non vi è mai venuta voglia di approfondire? (..) Qual è la realtà, i dati, i fatti?”. Il suo video propone di analizzare compiutamente la questione Ong. Lo stesso titolo suggerisce che il contenuto è “la verità”. Donadel mostra nel video il tracciato Ais di navi della Guardia Costiera italiana e delle Ong impegnate in operazioni di soccorso marittimo. Le prove sono, come nel caso di Gefira, generiche: i soli dati Ais sono, come abbiamo visto, non significativi.

Chi è Luca Donadel? Secondo le informazioni disponibili sui suoi profili social è uno studente di marketing. Non è dunque un giornalista, ma un esperto di comunicazione di mercato.

Il video viene ripreso da “Striscia la notizia”, format non giornalistico di Canale 5, classico esempio di Infotainment. Diventa a quel punto virale, utilizzato sui social per la narrazione delle Ong complici dei trafficanti. Donadel da sconosciuto studente torinese diventa webstar, invitato alle convention e convegni della destra italiana.

Il marketing politico e la manipolazione dell’opinione pubblica hanno la necessità di creare un nemico. La figura perfetta deve racchiudere alcune caratteristiche: appartenere ad un gruppo considerato potente e malvagio – la potenza giustifica parole anche dure nella comunicazione e suscita un ansia da pericolo -, essere espressione di un piano di dominazione e apparire, anche fisicamente, come incarnazione del male. Gli esempi nella storia sono innumerevoli: dai presidenti russi durante la guerra fredda, fino a Saddam Hussein. In campo politico le elezioni del 1948 in Italia sono un esempio lampante, con i comunisti dipinti dai democristiani come espressione della malvagità.

Il nemico giurato appare molto presto nel marketing politico della destra. E’ George Soros, finanziere ungherese naturalizzato statunitense, fondatore della Open Society Foundation. Questa organizzazione dalla sua fondazione, il 1973, ha elargito circa decine  miliardi di dollari in donazioni, destinate soprattutto a organizzazioni di difesa dei diritti delle minoranze (ad esempio i Rom e i Sinti), al giornalismo indipendente, alle Ong che si occupano di migrazione. Si  ispira direttamente al pensiero di Karl Popper sulla “società aperta”.

George Soros e la OSF vengono associati nel marketing politico della destra alla “Ong connection”, ritenendo l’organizzazione a capo di un complotto per l’invasione dell’Europa da parte di migranti e rifugiati. Questa narrazione ha letteralmente invaso i social network ed il web dalla seconda metà del 2016 in poi, come si può vedere dall’analisi delle ricerche su Google (Google Trends):

soros-gtrends

La campagna inizia nell’estate del 2016, quando un gruppo di hacker – Fancy Bear – diffonde in rete i DC Leaks. Tra i documenti pubblicati vi sono molti dossier prodotti dalla Fondazione, con le cifre delle donazioni dirette ad associazioni di difesa di diritti, incluse alcune organizzazioni italiane. Viene poi diffuso un report con i nomi di politici europei ritenuti affidabili. Le cifre delle donazioni sono in realtà un leak abbastanza banale, visto che si tratta di numeri facilmente desumibili dai bilanci delle associazioni. Ma tanto basta per far partire una campagna durissima, spinta soprattutto dai paesi dell’est europeo. Parte la cosiddetta “Stop operazione Soros”, che vede in prima fila la Macedonia e l’Ungheria e in Italia soprattutto Forza Nuova. Il passo successivo lega Soros e la OSF ai flussi migratori verso l’Europa, facendo intendere – neanche tanto velatamente – che dietro l’arrivo dei rifugiati vi sia un complotto per la “sostituzione etnica” della popolazione “bianca”. Per l’occasione si ripropone un vecchio arnese dell’estremismo di destra, il cosiddetto Piano Kalergi(visione complottista che immagina l’esistenza di una organizzazione mondiale operante da decenni per l’invasione dei paesi occidentali e lo sradicamento sociale, finalizzato al controllo politico).

La campagna anti Soros prende una forza straordinaria soprattutto in Ungheria, Macedonia e Romania subito dopo l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, come racconta questo articolo del New York Times:

In Hungary, where the movement has reached a fever pitch, supporters of Prime Minister Viktor Orban are vilifying “foreign-funded” N.G.O.s — especially those succored by George Soros, the liberal American billionaire — and accusing the groups of wanting to flood Europe with Muslim refugees and transform “Christian” nations into multicultural stews of left-wing globalism. Earlier this week, Zoltan Kovacs, Mr. Orban’s chief international spokesman, described the organizations as “foreign agents financed by foreign money.”

Macedonia’s former autocratic prime minister, Nikola Gruevski, has called for a “de-Sorosization” of society, labeling opponents “Soros-oids” and inspiring a “Stop Operation Soros” movement in January. Poland’s governing party leader, Jaroslaw Kaczynski, says Soros-funded groups want “societies without identity,” and backs fresh efforts to regulate them. In Romania, where hundreds of thousands of anticorruption protesters took to the streets in recent weeks, the leader of the governing party charged that Mr. Soros “financed evil” and has vowed to defeat him. Similar efforts have begun or accelerated in Serbia, Slovakia and Bulgaria since Mr. Trump’s victory.

“These organizations must be pushed back with all available tools,” Szilard Nemeth, vice chairman of Hungary’s governing Fidesz party, told journalists. “I think they must be swept out, and now I believe the international conditions are right for this with the election of a new president.”

Luca Donadel non si fa sfuggire l’occasione. Affida a tale Francesca Totolo la redazione di diversi articoli su Soros e sulla sua fondazione. Tema che diventa ossessivo sui social, come possiamo vedere da questa analisi dei flussi Twitter di Totolo (ultimi sette giorni):

Screenshot-2018-1-22 Twitter analytics stats for user francescatotolo Social Bearing

Totolo in diversi articoli riprende una parte dei documenti pubblicati nel giugno 2016 sul sito DC Leaks (ad esempio il report sui politici europei ritenuti affidabili) e cerca di individuare ricercatori, associazioni, ong e altre figure pubbliche ritenute collegate in qualche maniera con Soros. In un articolo analizza i curricula dei giudici della Corte dei Diritti Umani, sottolineando come alcuni di loro avrebbero avuto un qualche ruolo in organizzazioni legate all’Open Society Foundation. Secondo Totolo Soros sfrutterebbe questa rete per ottenere informazioni privilegiate, da utilizzare in speculazioni finanziarie:

Non si possono nascondere però i legittimi timori che alcune personalità autorevoli, politiche e istituzionali, possano essere influenzate da un figura tanto carismatica; la preoccupazione nasce dal passato di George Soros e dalla sua proficua attività di speculatore, che lo ha reso uno degli uomini più facoltosi e potenti del pianeta. La speculazione operata nei mercati finanziari scaturisce proprio dal rilevamento di debolezze di un sistema e dallo sfruttamento di quest’ultimo. Quindi la vicinanza a esponenti politici e delle istituzionali pubbliche potrebbe portare una sorta di “beneficio informativo”, soprattutto in contesti altamente “sensibili” come i mercati finanziari.

La rete di Soros avrebbe poi imposto – sostiene Totolo in alcuni articoli pubblicati sul blog di Donadel – i principi deontologici della Carta di Roma (una delle carte deontologiche obbligatorie per i giornalisti, pensate per evitare linguaggi discriminatori), utilizzati come forma di “censura”.

Negli ultimi mesi Totolo ha iniziato a pubblicare gli articoli su Soros anche sulla rivista di Casapound “Il primato nazionale”. La tesi è sempre la stessa: in Italia e in Europa molte associazione di promozione dei diritti e Ong sono finanziate dalla Open Society Foundation. Anche parte del programma del M5S sul tema delle migrazioni sarebbe opera di una associazione di giuristi finanziata da Soros.

In altre parole la Open Society Foundation sarebbe una vera e propria Spectre, pronta a dominare il mondo.

Anche ammettendo che la Open Society Foundation funzioni come lobby “liberal”, non esiste nessuna evidenza rispetto alla tesi – divenuta virale sui social – dell’esistenza di un piano di Soros per l’invasione dell’Europa con masse di migranti. Anzi, leggendo le dichiarazioni e le interviste più recenti del fondatore dell’OSF appare evidente che la linea guida è di governare i flussi, attenuando l’impatto sociale. Il recente annuncio di voler ulteriormente finanziare il settore dell’accoglienza dei migrati riguardava, ad esempio, progetto di aiuto alla piccola imprenditoria dei rifugiati ospitati in Europa: “I will invest in startups, established companies, social-impact initiatives and businesses founded by migrants and refugees themselves”, ha scritto Soros sul Wall Street Journal il 20 settembre 2016.

Non è poi assolutamente vero l’assioma che ritiene vi sia una connessione tra finanziamenti da parte di Soros e politica a favore dei migranti. Il mondo cattolico – di certo non finanziato da Soros, visto che dispone di fondi propri – è favorevole alla politica di accoglienza, per citare un esempio. La OSF funziona come le tante fondazioni private (molto presenti nel mondo anglosassone) con la particolarità di puntare al rafforzamento dei diritti universali (finanzia, ad esempio, Amnesty International). Ma in fondo è questo il punto: la campagna contro Soros ha anche l’obiettivo – a livello internazionale – di definanziare i “nemici” del nazionalismo dell’estrema destra. La società civile in fondo oggi è più temuta del fronte politico di sinistra.

E’ bene ricordare che Donadel e Totolo sono esperti di marketing e non giornalisti. I loro articoli, però, sono diventati “fonte” di molti quotidiani di destra (Libero e Il Giornale, soprattutto) sulla questione migrazione.

(fine prima parte)


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