I novant’anni di Sean Connery, l’unico vero 007, indimenticabile e insostituibile, i sessanta di Sean Penn, di cui ricordiamo tante memorabili interpretazioni, tra cui quella di Harvey Milk, storico attivista per i diritti degli omosessuali nella California di fine anni Settanta, i cento anni dalla nascita di quel genio assoluto che è stato Charles Bukowski e, infine, i cinquant’anni dallo storico raduno sull’Isola di Wight, una delle ultime volte che i giovani sono stati popolo e non solamente spettatori: l’estate è, da sempre, la stagione simbolo dell’arte, della cultura e della bellezza. Un’esplosione di gioia, passione civile, intensità ed entusiasmo, un capolavoro di vita, il trionfo della poesia sull’orrore, della libertà sulle catene, della forza d’animo sulla rassegnazione.
A Sean Connery dobbiamo la consacrazione di un personaggio emblematico della Guerra fredda, di cui forse oggi risulta anche difficile comprendere la portata ma che all’epoca incarnò alla perfezione un certo modo di sentire occidentale e costituì una delle tante forme di soft power della galassia anglo-americana nei confronti dei paesi comunisti.
Di Sean Penn abbiamo già detto molto, ma è bene aggiungere aluni dettagli relativi alla sua passione civile e al suo intenso impegno politico, caratterizzato anche da alcune prese di posizione molto significative come quella a favore del presidente venezuelano Hugo Chávez, contro la guerra in Iraq e a sostegno di Barack Obama.
Non c’è un film di Penn he non abbia segnato il proprio tempo: da “Bad Boys” a “Carlito’s Way”; senza dimenticare “Accordi e disaccordi”, “La forza del destino” e “Mystic River”.
Nel caso di Bukowski, siamo al ospetto della poesia assoluta, della grandezza di un anticonformista nato, di un lottatore indomito, di un uomo straordinario che sapeva fare dell’ironia la sua arma in più. Basti pensare a ciò che ha scritto in “Storie di ordinaria follia”: “Le due più grandi invenzioni dell’uomo sono il letto e la bomba atomica: il primo ti tiene lontano dalle noie, la seconda le elimina”.
Ci ha detto addio nel ’94, a soli settantatre anni, stroncato da una leucemia fulminante, privandoci del suo humour senza eguali in una delle fasi storiche in cui ne avremmo avuto maggiormente bisogno.
Parlando, in conclusione, del festival di musica rock che si svolse dal ’68 al ’70 sull’Isola di Wight, va detto che è vero che dal 2002 la kermesse è rinata e ha visto la partecipazione di mostri sacri come i Rolling Stones, Paul MCartney, i Sex Pistols e Bruce Springsteen ma è altrettanto vero che la follia, l’irrazionalità, l’assurdo e l’entusiasmo genuino dei seicentomila che vi si radunarono nell’agosto del 1970 sono ineguagliabili.
I Jethro Tull, Joan Baez, gli Emerson, Lake & Palmer, l’ultimo immenso Jimi Hendrix prima della morte, Leonard Coehn e molti altri ancora: nulla è paragonabile a quel concentrato di sogni e speranze che nel mondo di oggi, semplicemente, non sono più possibili. Ci resta, dunque, il rimpianto, oltre alla sensazione che l’arte, la musica, il cinema, la scrittura e la tutta la meraviglia che l’uomo è in grado di creare, in qualche modo, va a capire come, ci salveranno ancora.
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