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#BOLOGNA2AGOSTO1980 Troppi presunti colpevoli per una strage impunita

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La storia ufficiale (mal scritta e ancor peggio tramandata) dei cosiddetti “anni di piombo” ha fatto fa si che a distanza di mezzo secolo, mentre i vari autori delle centinaia di azioni armate che si sono perpetrate nel nostro Paese nel “decennio lungo del secolo breve” siano stati tutti individuati, processati e condannati a secoli di carcere, le numerose stragi indiscriminate di cittadini innocenti, che pure in contemporanea hanno provveduto da sole a centuplicare il numero dei tanti caduti di quel periodo, siano rimaste a tutt’oggi irrisolte.

Da piazza Fontana a piazza della Loggia (la recente sentenza che limita tutto ai due soli condannati lascia parecchi dubbi in proposito), dal treno Italicus a Ustica, fino alla strage di Natale del rapido 904, la cui Sentenza del 24 novembre 1992, pervenuta a conclusione dopo un ennesimo iter giudiziario alquanto altalenante, non brilla certamente per chiarezza ed esaustività, per citare le più criminali stragi di quel periodo.

Bologna, la più drammatica di tutte, purtroppo non fa eccezioni, nonostante si sia cercato in tutti i modi per anni di darla per giudizialmente accertata con le condanne definitive dei tre militanti dei NAR, cui si è aggiunto di recente l’ultimo del principale quartetto (Cavallini) che ai tempi operava dietro quella sigla e che pure era nominativo ben noto agli inquirenti sin dal 1980 stesso.

Meno di un anno fa scrissi un articolo

(https://www.articolo21.org/2019/10/strage-di-bologna-la-condanna-non-convince/)

dove elencavo le tante incongruenze che affliggevano, a mio parere, le motivazioni della sentenza di condanna di Fioravanti e Mambro, dopo essermi letto tutti gli atti di quel processo, stimolato della pubblicazione del libro dell’ex giudice Turone.

Con l’approssimarsi del quarantennale della strage sono arrivate le nuove, ennesime, clamorose conclusioni cui sarebbe pervenuta l’ultima inchiesta su quella strage, secondo cui il noto Licio Gelli (nominativo che da mezzo secolo aleggia in ogni vicenda irrisolta del nostro Paese) avrebbe consegnato a Roma il 31 luglio 1980 al duo Mambro e Fioravanti un milione di dollari distratti dal crac del Banco Ambrosiano per fare saltare due giorni dopo la stazione di Bologna.

Da quel che si legge sul Resto del Carlino, sarebbe stato scoperto a distanza di 40 anni tra i vecchi faldoni relativi al processo per il crac Ambrosiano un documento sequestrato nel 1982 a Gelli che riportava l’intestazione ‘Bologna – 525779 – X.S., con il numero di un conto corrente aperto alla Ubs di Ginevra. A questo gli investigatori collegano altro documento denominato ‘artigli’, un appunto per il ministro dell’Interno, classificato come riservatissimo, datato 15 ottobre 1987 e firmato dall’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, dove si ricostruiva il colloquio tra il legale di Gelli, Fabio Dean e il direttore centrale della polizia di prevenzione Umberto Pierantoni, in cui Dean avrebbe detto: “Se la vicenda viene esasperata e lo costringono necessariamente a tirare fuori gli artigli, allora quei pochi che ha, li tirerà fuori tutti”, riferendosi al proprio assistito in quel momento in carcere, e che di lì a poco sarebbe stato interrogato anche sul 2 agosto 1980.

Al nuovo (si fa per dire) mandante, vengono aggiunte una serie di figure a diverso titolo coinvolte e tutte da tempo decedute, dal “solito” e immancabile Umberto Ortolani, al prefetto Federico Umberto D’Amato, direttore dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, fino a Mario Tedeschi, direttore della rivista Il Borghese. 

Sempre gli inquirenti ritengono di avere individuato il quinto complice (oltre ai quattro già condannati) presente ala stazione di Bologna, nella persona del pure noto Paolo Bellini, ex primula nera di Avanguardia Nazionale, che ha già replicato che “A Bologna, quel 2 agosto, io non c’ero e lo dimostrerò”, sulla base di un video amatoriale in cui si vede un tizio riccioluto che a novembre sarebbe stato riconosciuto dalla ex moglie in un interrogatorio con la frase più volte riportata sui media “Purtroppo è lui”. 

Infine, vengono accusati un’ulteriore serie di “depistatori”, come l’ex generale del Sisde Quintino Spella, oggi 91 anni, e l’ex carabiniere padovano Piergiorgio Segatel, oltre che Domenico Catracchia, l’ex amministratore di condominio in via Gradoli a Roma.

La tesi degli inquirenti è che circa cinque milioni di dollari partiti da conti svizzeri riconducibili a Gelli e Ortolani e iniziato a transitare ancora nel febbraio del 1979, quindi un anno e mezzo prima della strage del 2 agosto 1980, sarebbero poi finiti per un milione ai NAR e per il resto ai vari organizzatori e depistatori della strage.

Vedremo gli sviluppi di queste ennesime e clamorose scoperte, e che, come chiunque potrà facilmente capire, smentiscono totalmente la ricostruzione delle sentenze precedenti che attribuivano invece la strage a un’iniziativa estemporanea e mai ben chiarita nelle sue “motivazioni” dei quattro NAR già condannati, ipotizzando scenari di ben altro livello che vedrebbero unirsi, in una singolare quanto criminale sinergia specifica solo per quella strage, realtà e personaggi che fino a quel momento non risultavano aver mai avuto nulla in comune, e che in seguito non lo avrebbero avuto mai più.

La presenza a Roma il 31 luglio di Fioravanti e Mambro risulta “nuova”, posto che tutti gli atti li davano ancora nel Veneto fino al giorno 1 agosto (dove il condannato Ciavardini avrebbe appreso solo il giorno prima di compiere quella strage di dover rinunciare a una prevista gita a Venezia per il giorno 2 agosto con la fidanzata), il loro arrivo a Roma solo il 3 agosto, così come un loro rapporto con Bellini, fino ad oggi del tutto ignoto e mai accennato neppure dal fratello “pentito” di Fioravanti, Cristiano o da altri.

Ovviamente, alla domanda cruciale, che aldilà di ogni ricostruzione giudiziaria, interesserebbe sapere a chiunque interessi ricostruire la Storia di questo Paese, ovvero la ragione per cui proprio il 2 agosto del 1980, quando ormai in Italia (e nel mondo) gli scenari politici e sovversivi erano ben diversi da quelli che avevano caratterizzato le precedenti stragi, si sarebbe deciso di provocare la morte di 85 inermi vacanzieri di passaggio da una delle più trafficate stazioni italiane, siamo ancora in attesa di una risposta, non si dice convincente, ma quantomeno plausibile.

“Conoscere i loro nomi – ha detto Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime del 2 agosto – è fondamentale”, ma sta di fatto che a distanza di mezzo secolo, una domanda resta legittima per chi vuole davvero capire, oltre che sapere: chi ha davvero messo quell’ordigno micidiale e perché?


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