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Beirut: una tragedia nazionale

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Ho amato e amo Beirut. L’ho vista ferita  dopo la devastazione della guerra civile, l’ho vista rinascere dopo la guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah,ma mai l’avevo vista così devastata. Ogni volta  Beirut si rialza e guarda avanti, reagisce  e ritrova la gioia di vivere che è una sua caratteristica. Non sarà facile dopo questa catastrofe.  Guardo con profonda tristezza le immagini della distruzione provocata dalle violente esplosioni e sono incredula.  Il primo pensiero è stato per gli amici e per le persone con le quali ho lavorato negli anni in cui la Rai ha aperto un ufficio di corrispondenza nella capitale libanese. Stanno bene,per fortuna, ma mi confermano che è un disastro umanitario.
Terribile, davvero terribile mi dicono mentre  stanno lavorando. Una nuova catastrofe arrivata in un momento in cui la gente sta già lottando con l’impossibile e la sopravvivenza. L’aria è irrespirabile e il consiglio delle autorità libanesi è di andare via. Ma se fai il giornalista resti e cerchi di capire che cosa è successo. 2750 tonnellate di  nitrato di ammonio usato in genere per i fertilizzanti ma anche per fare le bombe, era custodito da sei anni in un deposito al Porto, a due passi dai palazzi e dalla zona commerciale. Le cause delle esplosioni non sono chiare. Il generale Abbas Ibrahim, capo dei servizi di sicurezza ha messo in guardia  dallo speculare su un atto terroristico sebbene sia naturale pensare subito all’ipotesi di un attacco. Il primo ministro Hassan Diab ha alluso alla possibile  negligenza come causa della tragedia. “Il responsabile pagherà un prezzo per questa catastrofe” ha detto ricordando che dal 2014 quel materiale pericoloso era stoccato in quel deposito al porto che si trova in una zona centralissima. Dagli Stati Uniti il presidente Trump in modo confuso sostiene che i suoi generali gli hanno detto che sembra essere stato un attacco,un terribile attacco, ma non ha dato spiegazioni attendibili. Beirut è un fazzoletto di terra,  e solo la guerra civile negli anni 70-80  ha potuto allontanare e  dividere in settori  invalicabili una popolazione  abituata a muoversi in  uno spazio così ristretto.
Il Libano è grande quanto il Lazio, ma ospita  milioni di profughi, per primi sono arrivati i  palestinesi dopo la nascita di Israele nel 1948. Vivono chiusi in 12  campi che  negli anni sono cresciuti per popolazione  insieme alle tensioni, poi sono arrivati i siriani con la guerra civile del 2010 che ha devastato il loro paese. Un milione e mezzo. Il Libano accoglie tutti, ma  paga un prezzo altissimo. La storia del Medio Oriente passa dal Libano che di volta in volta diventa terreno di battaglia. Un crocevia di culture che attrae giovani da tutto il Medio Oriente per le sue Università,soprattutto l’American University of Beyruth, ma anche crocevia di figure opache che si muovono sullo scacchiere mediorientale.
Qualunque siano le cause delle esplosioni, è chiaro che le conseguenze saranno anche politiche. Da mesi  il paese è attraversato da violente proteste per la difficile situazione economica che ha eroso il valore della lira libanese dell’80%.La gente è scesa per le strade contro l’aumento dei generi alimentari e il governo era stato costretto a ritirare la proposta persino di una tassa  su whatsApp. Ci sono stati scontri violenti con la polizia. Il Coronavirus con il blocco delle attività commerciali ha dato il colpo di grazia alla fragile economia. La devastazione di queste ore rende il Libano ancora più fragile. Uno scenario nel quale si inserisce anche la notizia  che venerdi  prossimo all’Aja,dove ha sede il tribunale speciale per il Libano, è attesa la sentenza sull’omicidio dell’ex premier libanese sunnita Rafik Hariri ucciso nell 2005 per una bomba nascosta nell’asfalto e che esplose al passaggio della sua auto. Morirono 21 persone e l’area sul lungomare  all’altezza del saint George Hotel fu devastata. Un delitto che ha cambiato gli equilibri politici nella regione. Il dito fu puntato contro la Siria, e in contumacia alla sbarra ci sono 4 imputati membri del movimento sciita libanese  Hezbollah più un siriano considerato la mente dell’attentato ucciso a Damasco nel 2016. Difficile in queste ore trarre conclusioni. Servono preghiere per le vittime. E un pensiero anche ai nostri 1200 soldati nel sud del Libano, che indossano la divisa dei caschi blu dell’Onu, a vigilare sulla pace lungo la linea blu al confine con Israele.
Proprio i giorni scorsi la tensione è tornata a salire  tra Hezbollah e stato ebraico dopo il bombardamento israeliano contro i palestinesi a Gaza. Dal territorio libanese è stato anche  sparato un missile contro un carro armato israeliano nella zona sensibile delle fattorie di Sheeba, contesa tra Israele e Libano. Non è un buon momento per farsi trovare in Libano.

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