Da subito è emersa la complessità del procedimento, i giudici dovranno giudicare i responsabili del delitto in contumacia,. Il regno saudita, infatti, rifiuta di estradare i funzionari dei servizi e della sede diplomatica in Turchia responsabili dell’uccisione dell’editorialista del Washington Post.
“Questa è la prima volta che il sistema giudiziario affronta seriamente il caso Khashoggi, monitoreremo affinché gli standard siano internazionalmente riconoscibili” è stato il commento della relatrice delle Nazioni Unite per le
uccisioni extragiudiziali, Agnes Callamard, che ha partecipato all’udienza.
L’atto di incriminazione in 117 pagine punta il dito contro Ahmed al-Asiri, ex numero due dell’intelligence saudita, e Saud al-Qahtani, ex consigliere del principe ereditario Mohammed bin Salman, considerato quest’ultimo il mandante dell’omicidio. “Salman ha istigato e premeditato l’assassinio con un obiettivo mostruoso” la dura accusa formulata dal procuratore turco.
Particolarmente toccante la testimonianza della fidanzata di Kashoggi, Hatice Cengiz, che aspettava il giornalista
fuori dal consolato dove si era recato per ritirare i documenti per il loro matrimonio. Il giorno prima aveva ricevuto una chiamata che lo invitava nella sede diplomatica per ritirarli.
“Sono molto provata, Jamal è stato attirato in una trappola mortale con l’inganno. Il processo da un punto di vista emotivo è per me molto faticoso. Ma continuerò a seguirlo da vicino perché è mia, nostra, responsabilità. Le persone responsabili dell’omicidio devono essere consegnate alla giustizia” ha dichiarato esprimendo fiducia nel sistema giudiziario turco.
Un paradosso se si pensa ai tanti processi che in Turchia vedono sui banchi degli imputati attivisti e giornalisti accusati di terrorismo solo perché hanno espresso critiche verso il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan.
“La cosa assurda – ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia – è che il processo contro gli attivisti è avvenuto nello stesso tribunale in cui è iniziato il processo per far luce sulla morte di Jamal Khashoggi”.
L’accusa per Kilic è di appartenenza a un’organizzazione terrorista affiliata all’ex imam Fetullah Gulen, considerato la mente del fallito golpe del luglio 2016 in Turchia.
Più lieve l’imputazione per la Eser, ritenuta “sostenitrice” della stessa organizzazione. Accuse rivolte anche ad altri 4 attivisti, Özlem Dalkıran, Günal Kurşun, Veli Acu e Nejat Taştan condannati alla stessa pena.
Una sentenza, quella di oggi come tante altre che l’hanno preceduta, con la quale il regime turco prova a silenziare coloro che difendono i diritti o i giornalisti che denunciano violazioni e scandali nel Paese.