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Topografia della realtà secondo Woody Allen. ‘Dio è morto e neanch’io mi sento tanto bene’ con Tullio Solenghi

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Verbania – Nella sera di sabato 18 luglio, in un nuovo appuntamento della stagione estiva, Tullio Solenghi è salito sul palco del Teatro Maggiore di Verbania per rendere omaggio, con il monologo Dio è morto e neanch’io mi sento tanto bene – spettacolo all’esordio nazionale* – allo scrittore (più che al regista) Woody Allen, i cui libri, come ha subito spiegato, hanno giocato un ruolo non secondario nel suo percorso di formazione artistica. La lettura dei diversi brani è stata introdotta, e qualche volta accompagnata, dalle belle ed evocative note firmate Gershwin, Tommy Dorsey e Dave Brubeck, nonché da motivi klezmer (la musica tradizionale ashkenazita) e brasiliani, colonne sonore di diversi film del cineasta americano, validamente eseguiti nell’occasione dall’ensemble di Alessandro Nidi (sei elementi). Una curiosità: verso metà serata, l’attore e comico genovese si è anche esibito come cantante, interpretando (benissimo) quella che fra le canzoni italiane è, forse un po’ a sorpresa, la preferita dal Maestro newyorchese: Non dimenticar le mie parole di Emilio Livi, incisa per la prima volta nel 1937 dal Trio Lescano e l’orchestra Barzizza.

Woody Allen (1935, al secolo Allan Stewart Königsberg, ebreo newyorchese di ascendenze ashkenazite, cioè delle comunità ebraiche dell’Europa orientale), universalmente noto come regista cinematografico, è anche un fortunato, citatissimo autore di battute, storielle e aforismi, generoso patrimonio dal quale è andato ad attingere Tullio Solenghi per il testo di questo gustoso e irriverente monologo.

L’umorismo di Allen, ovviamente aggiornato ai tempi e trapiantato negli Stati Uniti (con tutte le trasformazioni e le contaminazioni che il processo comporta), si riallaccia a una tradizione profondamente radicata nella cultura ebraica, in particolare quella di lingua yiddisch, contrassegnata da un’ironia cinica, dissacrante e paradossale. I temi ricorrenti sono, sostanzialmente, gli stessi dei suoi film: la religione (ebraica, naturalmente), i difficili rapporti con le donne e con i genitori, la psicoanalisi, ecc.

Tra le fonti di ispirazione di Woody Allen come scrittore si dovranno menzionare almeno I racconti dei chassidim (1949) di Martin Buber (1878-1965), fondamentale repertorio di aneddoti e sentenze memorande tramandato da un’antica tradizione che, contrapponendosi al rigido formalismo talmudico, si riallaccia a sotterranee, quasi clandestine correnti mistiche, sintesi puntuale e genuina di una secolare saggezza popolare; es.:

Prima di morire, Rabbi Zusya disse: “Nel mondo che verrà, non mi chiederanno: perché non sei stato Mosè?, ma mi chiederanno: perché non sei stato Zusya?”

Al di là delle remote ascendenze letterarie, presenti in filigrana, le bizzarre storielle, e gli interrogativi da esse suscitati, ripresi da Solenghi nel suo monologo sono esemplari della poetica del regista e sceneggiatore statunitense: le spassose varianti dell’incipit del grande progettato romanzo su New York dell’aspirante scrittore, tormentosamente indeciso fra diverse e incompatibili cifre stilistiche; l’uomo afflitto da un’incontrollabile balbuzie, ma solo per iscritto; il quesito fondamentale se Dio amasse di più Abramo o Mosè, con tutte le disquisizioni e i dubbi (di derivazione talmudica) che l’interrogativo propone (e del quale Allen suggerisce fra le righe la sostanziale futilità); il vagheggiamento di un mondo alla rovescia, dove si nasce vecchi e si muore giovani… E poi ancora: la ragazza che soffre di gravi turbe psichiche perché, da bambina, quando glielo chiedevano, non era capace di imitare i conigli nell’atto caratteristico di arricciare il naso, e che a cagione di questa deficienza – di questa rarissima tara – era quotidianamente canzonata da amici e compagni di scuola… per finire con la trovata forse più genialmente surreale: l’uomo che non poteva entrare in una stanza se in questa era presente un violoncello, ma che se poi, per distrazione, vi entrava, non poteva uscirne se non dopo aver ottenuto il permesso della suocera…

Situazioni oltremodo singolari, beninteso, la cui assurdità ci diverte, ma nelle quali fatichiamo a districarci. A buon diritto Woody Allen si chiede allora: che cosa importa se non ne cogliamo il significato? Secondo, sottinteso livello di lettura: il nesso che noi vediamo o stabiliamo fra i diversi fenomeni è puramente illusorio; è una costruzione prettamente arbitraria, che traccia una topografia del tutto immaginaria di una realtà che esiste solo nella nostra testa. In certo modo, queste brevi storielle assolvono a una funzione non molto dissimile da quella di certi racconti o koan (indovinelli, casi giuridici) zen giapponesi, che ci conducono, attraverso quesiti irrisolvibili, fin sull’orlo del precipizio, introducendoci alla vertigine del nulla; costituiscono insomma uno specchio deformante (ma con metodo) del mondo circostante.

Bersagli privilegiati dell’ironia di Allen sono le presunte guide spirituali ebraiche e – ma non sembri un’enormità – Dio stesso: per es. l’ignoranza iperbolica dei rabbini, all’oscuro dei più elementari principi enunciati dalla Torah – un’ignoranza talmente inverosimile da prevenire qualsiasi sospetto di blasfemia. Per es.: la sorpresa (e l’ipocrita delusione) di un rabbino nell’apprendere casualmente da un allievo che è vietato mangiare carne di maiale: la situazione appare già parecchio grottesca ai gentili, figurarsi dunque a un ebreo. E figuriamoci allora a un rabbino in carne ed ossa!

Lo stesso Yahweh tira non di rado scherzi di pessimo gusto ai suoi fedeli… salvo poi indignarsi se, per dirne una, quell’imbecille senza cuore né coscienza di Abramo si ritrova, per obbedirGli, nella sua cieca stoltezza, sul punto di sacrificare il figlio Isacco.

Giova forse ricordare, a questo proposito, che gli ebrei hanno sviluppato nei millenni che formano la loro storia travagliata una tale dimestichezza – istituito un così privilegiato rapporto – con il Dio nella cui esistenza (forse) credono, da sentirsi autorizzati a redarguirlo, insultarlo, mandarlo recisamente a quel paese – e non si può non riconoscere che tante volte Egli non meriti niente di diverso. Non c’è, peraltro, in questo atteggiamento, ombra di irreligiosità; nulla di paragonabile per es. a certo accanito insistito anti-clericalismo diffuso nei paesi cattolici; semmai esso è una conferma dell’attaccamento – il segno dell’ineludibile richiamo – a una cultura comune all’intera diaspora ebraica.

Altre battute, che pure Solenghi cita – non a caso le maggiormente popolari – appaiono di grana più grossa. In parte, supponiamo, sono un legittimo espediente del comico newyorchese per ampliare la base del proprio pubblico; nello stesso tempo rappresentano anche una forma di auto-difesa, un accorgimento per non essere preso troppo sul serio da certa critica pretenziosa: Woody Allen per primo è consapevole di non essere né Platone né Tennessee Williams – per quanto talvolta, a voler essere giusti, per es. nel recente, bellissimo film La ruota delle meraviglie (2017) – asciutto, crudele, disperante – dimostri di essere all’altezza del grande commediografo.

Tanto meno Allen si risparmia auto-ironiche confessioni d’autore:

Il mio primo film era talmente brutto che in sette Stati Americani la sua visione aveva sostituito la pena di morte.

Ogni volta che un mio film ha successo, mi chiedo: come ho fatto a fregarli ancora?

Allora tutto il film della mia vita mi è passato davanti agli occhi in un momento! E io non ero nel cast!

I miei film sono molto più apprezzati in Francia che in America: devono avere dei sottotitoli fantastici!

E confessa, con senso comico talora strepitoso, il trauma (indelebile quanto inventato) dei difficili rapporti coi genitori:

Ho sempre avuto un buon rapporto con i miei genitori. In effetti mi hanno picchiato una volta sola: hanno cominciato il 23 dicembre del 1942 e hanno smesso nella primavera inoltrata del ‘44.

Ci tengo molto al mio orologio. Me l’ha venduto mio padre sul letto di morte!

Quando ero piccolo, mia madre mi diceva sempre: “Se uno sconosciuto ti avvicina, ti offre caramelle e ti invita a salire in macchina con lui, tu vacci!”

Quand’ero piccolo i miei genitori hanno cambiato casa una decina di volte. Ma io sono sempre riuscito a trovarli.

Immancabili, e molto citate, le facezie sul sesso:

Due settimane fa sono stato coinvolto in un buon esempio di contraccezione orale. Ho chiesto ad una ragazza di venire a letto con me e lei mi ha detto di no.

Il sesso senza amore è un’esperienza vuota, ma tra le esperienze vuote è una delle migliori.

Sono contrario ai rapporti prima del matrimonio; fanno arrivare tardi alla cerimonia.

E non potevano mancare, come accennavamo prima, neppure battute irriverenti su Dio e la religione:

“Ma certo che Dio esiste: siamo fatti a sua immagine”. “E io sarei a sua immagine? Guardami: credi che Lui porti gli occhiali?”. “Beh… non con quella montatura.”

Non credo in una vita ultraterrena. Comunque porto sempre con me la biancheria di ricambio.

Altro argomento ricorrente, se non obbligato, la psicoanalisi – senza trascurare il fatto che anche il fondatore della disciplina, il dottor Freud, era di origini ebraiche, e che ben difficilmente L’interpretazione dei sogni avrebbe potuto essere redatta da una mente che non fosse rotta alle sottigliezze del Talmud:

“Dottore, mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina!”. E il dottore gli dice: “Perché non lo interna?”. E quello risponde: “E poi le uova chi me le fa?”.

La psicanalisi è un mito tenuto in vita dall’industria dei divani.

Lo psichiatra è un tizio che vi fa un sacco di domande costose che vostra moglie vi fa gratis.

Non sarai mai solo con la tua schizofrenia.

Famosi anche certi tratti di divertente cinismo, venati però di sotterranea amarezza:

Il mondo si divide in buoni e cattivi. I buoni dormono meglio, ma a quanto pare i cattivi da svegli si divertono di più.

“Sparagli!”. “Ma non posso! È un essere umano! Macchierà tutto il tappeto…”.

Domattina alle sei sarò giustiziato per un crimine che non ho commesso. Dovevo essere giustiziato alle cinque, ma ho un avvocato in gamba.

Nixon era un bravo Presidente, d’accordo; però quando usciva dalla Casa Bianca il servizio d’ordine contava l’argenteria.

Per concludere, la bella e famosa battuta che ha dato il titolo allo spettacolo, svoltosi con un buon concorso e successo di pubblico:

Dio è morto, Marx è morto … e neanch’io oggi mi sento tanto bene!

*Lo spettacolo è centrato su Saperla lungaCitarsi addosso ed Effetti collaterali, i tre libri di Woody Allen pubblicati da Bompiani, che recentemente sono stati ritradotti per la stessa casa editrice da Daniele Luttazzi, i primi due con i titoli alternativi Rivincite e Senza piume.


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