Ogni luogo ha una sua anima, una sua storia, una sua identità che vanno rispettate e preservate nel tempo. Aghía Sofía, oggi conosciuta come Santa Sofia o Ayasofya, sin dalla sua costruzione del 537 di cambiamenti ne ha già conosciuti molti. Nata per essere una delle chiese più belle d’Oriente per volere dell’imperatore Giustiniano, venne trasformata in moschea in moschea nel 1453, all’epoca degli Ottomani, per diventare poi, nel 1934 un museo per volere del governo di Ataturk. Da allora milioni di turisti da ogni angolo del mondo hanno potuto ammirarne la bellezza e l’unicità, godendo di quel connubio inedito tra arte sacra cristiana e islamica, tra affreschi rappresentanti santi e maternità e dipinti geometrici, floreali e calligrafici con versetti del Corano. Rendere Aghía Sofía un museo è stato come fermare il tempo, le ostilità e le prevaricazioni del passato, per mostrare un modello di convivenza tra diversità non in contrasto tra loro, ma in un equilibrio armonico che forse solo l’arte sa donare. Una scelta all’insegna di quella laicità a cui auspicare per garantire la libertà di pensiero e di culto di tutti, non una scelta laicista. In quel contesto dalle mura esterne rosate, circondate da un bel giardino, possono trovare ispirazione e sentirsi riconosciuti e ben accolti tutti, laici e religiosi, cristiani e musulmani. A pochi passi di distanza si trova una delle più suggestive moschee di Istanbul, la Moschea Blu, aperta ai fedeli e ai turisti, dove le persone che lo desiderano possono fermarsi a pregare. Il nodo della vicenda è proprio qui. Non c‘è stato alcun terremoto, le moschee di Istanbul non sono crollate all’improvviso, lasciando i fedeli senza un luogo di culto per cui l’unica alternativa era riconvertire Aghía Sofía. Ciò che detta questa scelta, è evidente, è una volontà politica che mira a rafforzare un consenso nella parte più conservatrice della popolazione. Il terremoto lo provocano proprio simili iniziative, che finiscono per isolare sempre di più i Turchi e la Turchia e creano, dentro e fuori il Paese che dovrebbe essere un ponte tra Asia ed Europa, una chiusura imposta dall’alto, un muro contro muro. Come se non bastassero le ostilità verso giornalisti, oppositori politici, intellettuali, dissidenti e avvocati; queste scelte alimentano ulteriori tensioni sociali e segnano un punto di non ritorno.
Santa Sofia e i Turchi non meritano questo. Usare la religione per imporre un’idea egemonica è un comportamento tanto dannoso, quanto pericoloso. La religione che diventa costume e ideologia di Stato non ha nulla a che vedere con la spiritualità. Chi va in un luogo di culto dovrebbe essere mosso da un bisogno e un desiderio di fede, altrimenti andrebbe nella sede di un partito politico. È una questione spinosa, antica, ma drammaticamente attuale. Forse chi ragiona così dimentica, diversamente da chi è animato dalla spiritualità, che Dio abita nei cuori e nelle menti di chi lo ama, non guarda di certo all’indirizzo e al numero civico per decidere i posti dove andare e non sceglie di abitare un luogo perché viene chiamato moschea, piuttosto che museo o chiesa. Il paradosso di certi uomini al potere è che nei loro progetti vorrebbero ingabbiare anche quel dio di cui si ergono a paladini.
Fonte: Avvenire