“Pu**ana, ti piace essere chiamata così?”, “Pu**ana te la faremo pagare”, questi i messaggi giunti alla direttrice della testata online Parma Press, Francesca Devincenzi, dopo un articolo sul presunto stupro di una ragazza di 21 anni a Parma. Le minacce sarebbero iniziate in seguito alla pubblicazione, sul portale di notizie, di messaggi e immagini inviati dalla giovane al presunto stupratore, il commerciante parmigiano 46enne Federico Pesci, all’indomani della notte in cui sarebbe avvenuta la violenza sessuale denunciata. La decisione della redazione di diffondere il materiale – che ha gettato una nuova luce sulla vicenda – non è stata apprezzata, ma Devincenzi ha spiegato che la scelta editoriale è stata dettata dalla necessità di adempiere al dovere di cronaca e offrire ai lettori tutti i dati necessari a crearsi un’opinione informata. L’articolo, scrive la giornalista, “ha trasformato i profili social personali e del giornale che dirigo con onore e rispetto per la professione, in un cimitero di insulti”.
“Questi fogli accartocciati sono stati recapitati nella cassetta postale della sottoscritta, direttrice di questo quotidiano. Ammesso che non è difficile sapere dove risiedo, e che comprendo come facendo un mestiere “pubblico” posso non essere simpatica a tutti, ritengo che queste sciocche minacce meritino una riflessione. Una premessa: io non ho paura. Se avessi paura farei altro nella vita. “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola” diceva Paolo Borsellino. Un’altra premessa: io non mi sento in difetto verso nessuno. Non ho alle spalle poteri o editori forti, ma ho le spalle larghe, forgiate dall’essere un editore e giornalista libero, che ha scelto questo mestiere per amore della verità e della cronaca”, scrive Devincenzi nel suo editoriale, in cui pubblica anche le foto dei messaggi a lei recapitati.
“Credo di perseguire sempre l’onestà intellettuale, che non mi rende simpatica a tutti, ma per cui nessuno mi può definire asservita o servile dei poteri di qualsivoglia forza o parte. Io faccio il mio mestiere. Io informo, perché solo se si conoscono le cose ci si può creare un pensiero. Ma raccontare i fatti non vuol dire schierarsi. Raccontare i fatti non vuol dire giudicare. Raccontare i fatti non vuol dire sostituirsi ad alcun giudice. Di recente mi sono occupata di una vicenda giudiziaria che ha mosso moltissime critiche, parecchi commenti negativi. Ho pubblicato un articolo che ha trasformato i profili social personali e del giornale che dirigo con onore e rispetto per la professione, in un cimitero di insulti. La vicenda riguarda il caso Pesci e il presunto stupro di una 21enne con i risvolti giudiziari della denuncia presentata dalla presunta vittima”. La vicenda risale al 2018: Pesci è accusato di violenza sessuale di gruppo nei confronti della 21enne insieme a un ragazzo nigeriano, Wilson Ndu Aniyem, già condannato col rito abbreviato a cinque anni e otto mesi per violenza sessuale, lesioni e spaccio. Il 46enne, ora agli arresti domiciliari, è difeso dal legale della famiglia di Stefano Cucchi, Fabio Anselmo, e dall’avvocato Mario L’Insalata.
“La scelta di pubblicare alcune intercettazioni, alcuni messaggi tra la presunta vittima e il presunto stupratore (scrivo “presunto” non per sminuire la vicenda, ma perchè fino alla sentenza definitiva di un Tribunale tutti in Italia devono sono reputati innocenti), ha mosso l’indignazione ed esposti da parte dei Centri Anti Violenza e di alcuni i movimenti per la difesa delle donne dell’Emilia Romagna. Uno sdegno, però, che adesso causa solo altro sdegno. La logica vorrebbe che questi stessi movimenti si indignassero in mia difesa. Sono una donna anch’io. Una professionista. La rabbia genera solo odio, questa è la riflessione cui mi riferivo alcuni capoversi sopra. La verità, invece, rende liberi. Quindi continuerò a raccontarla, con buona pace di chi mi lascia messaggi anonimi nella bocchetta delle lettere. E no, non mi piace essere chiamata “Pu**ana”, conclude la direttrice di Parma Press.
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