“Gabri sto arrivando, dopo dieci ore di treno con la mascherina sono ancora viva!”, “va bene, ti aspetto a Termini con acqua e supplì”. Stazione: saliamo in macchina. Microfono, registratore, agenda. E mascherina, ovviamente. Non manca nemmeno il caldo afoso di metà luglio. C’è tutto. Andiamo. Ci siamo finalmente riuniti a Roma. Dopo mesi dietro uno schermo, tra videochiamate e pandemia, rivedersi è una boccata d’aria. Un po’ come rimettersi gli occhiali e riuscire a scorgere dove si sta andando. Finalmente, dopo tanta attesa, mettiamo a fuoco i dettagli.
Roma ha un gusto particolare in quest’estate post pandemica. Vuota, semideserta, a tratti silenziosa. Intima. E molto diversa dalla Roma in cui ci siamo rivisti una sera di settembre scorso, dopo una corsa folle tra metro affollate e bus in ritardo. Un caffè, ed eravamo già pronti a ripartire. Con la promessa di proporre un progetto di inchiesta al Premio Morrione 2020.
La pandemia ha dilatato il tempo, sembra passata una vita. Abbiamo iniziato a lavorare uno in Olanda, l’altra in Tunisia, senza prevedere che pochi mesi dopo ci saremmo ritrovati entrambi in Italia, pur restando a centinaia di chilometri di distanza. La pandemia ha scombussolato i piani, ma ci ha concesso il tempo necessario per approfondire il tema di cui ci occupiamo. Ed ora eccoci qui. Dopo aver impostato il lavoro a distanza, in meno di due settimane passate nella stessa città siamo riusciti a fare grandi passi avanti concretizzando idee rimaste sospese.
Così le chiamate insistenti, le attese e poi gli appuntamenti segnati sull’agenda hanno assunto una voce ed un volto. Ricominciano le interviste faccia a faccia, la mascherina non ferma la nostra voglia di porre domande. Questa seconda fase del lavoro è una discesa dopo la salita. Tiriamo il fiato. Un po’ come Roma, sostiene Gabri, che chiede tanto ma restituisce sempre tutto quanto.