“La legge sulla Par Condicio è ancora attuale. All’epoca nacque perché mancava una norma che regolasse la presenza dei politici in televisione durante le campagne elettorali, con un unico obiettivo: mettere ordine nel sistema dell’informazione come un’aspirina in un corpo malato. Non era andata in porto la legge sul conflitto di interesse, non aveva neppure avuto esito una rigorosa normativa anti concentrazione nel campo televisivo e si avvicinavano importanti appuntamenti elettorali e il governo D’Alema ritenne quindi doveroso arginare Silvio Berlusconi, che aveva la proprietà di un impero televisivo. La Par Condicio è stata l’antibiotico necessario per salvaguardare il pluralismo dell’informazione in Italia”. È quanto dichiara Vincenzo Vita, tra i principali promotori della legge come sottosegretario alle Comunicazioni, nel corso della presentazione del libro “La disfida della Par Condicio 20 anni dopo”, edito da The Skill Press e curato dal giornalista Luca Romano. Oltre alla testimonianza del senatore Vita anche quelle di Giorgio Lainati, allora capo ufficio stampa e poi deputato e Vicepresidente FI della Commissione di Vigilanza Rai e di Stefano Luppi, capo delle Relazioni istituzionali della Rai, e Gennaro Pesante, giornalista ed esperto di comunicazione. All’iniziativa, insieme agli autori, sono intervenuti Luciano Violante (presidente di Fondazione Leonardo ed ex presidente della Camera dei deputati), Anna Maria Bernini (capogruppo FI al Senato), Marco Frittella (giornalista del TG1), Roberto Zaccaria (già Presidente Rai e deputato della Repubblica) e Andrea Camaiora (Ceo del Gruppo The Skill).
“Voglio ricordare – prosegue Vita – che il primo testo della legge sulla Par Condicio prevedeva, all’articolo 1, anche la regolazione dei servizi in rete. Allora, non appena il testo arrivò in Commissione al Senato, fummo costretti a togliere persino questo cenno doveroso poiché si affermava che la rete non poteva essere censurata, lasciando quindi aree scoperte non contemplate dalla normativa. Basti pensare che oggi sui Social network in Italia non c’è neppure il silenzio elettorale e il divieto di pubblicazione e divulgazione di sondaggi”.