Tormentato per anni dal mistero del sequestro di sua moglie, l’attivista per i diritti umani Samira Khalil, catturata a Douma – vicino a Damasco- nel 2013, il grande intellettuale siriano Yassine al Haj Saleh non ha mai smesso di cercarla ed ha scritto che “ciò che rimane o non rimane in vita dipende dai vivi”. E’ per questo che anche quest’anno ricorderemo padre Paolo Dall’Oglio, perché la sua lezione rimane in vita se lo vogliamo noi. Il dialogo, il vivere insieme, la possibilità di ricostruire il buon vicinato tra le diverse comunità, di fede ed etniche, del Levante, è stata la ragione del suo impegno quarantennale per la Siria e i siriani. Lo ricorderemo mentre infuria, nascosto dal regime e dai suoi mezzi di comunicazione, il contagio da Covid-19 a Idlib e nel resto della Siria. Lo ricorderemo in modo da ricordare che questa pandemia che falcia i siriani nel silenzio segue un genocidio fatto di deportazione di milioni di siriani e di transfer obbligatorio di altri milioni, oltre che che di centinaia di migliaia di morti. Tutto questo rimane in vita, nella nostra memoria e nella nostra realtà di essere umani, ricordando un amico. Dunque chiedere la verità sul suo destino è anche chiedere di sapere la verità su milioni di deportati, su milioni di rifugiati interni forzati trasferiti contro la loro volontà, su centinaia di miglia di torturati, di assassinati. La verità sul destino di padre Dall’Oglio non può sparire dietro un foglio burocratico, con scritto “morte presunta”. Allora ricordarlo vuol dire anche ricordare che all’inizio del suo sequestro fu imposto il silenzio stampa. Perché? Perché c’erano trattative? E se c’erano, con chi erano? Chi lo ha sequestrato? Almeno questo forse oggi si potrebbe sapere. Come si potrebbe dire se la trattativa, se c’è stata, perché sarebbe fallita. A quel punto tante altre domande verrebbero spontanee. Domande che ancora non trovano risposta e che riguardano chi sa e potrebbe parlare.
La storia del sequestro di Paolo è la storia del sequestro di un popolo, dimenticare il suo sequestro, non cercare la verità su di lui, equivale a dimenticare la tragedia di milioni di persone, la verità su di loro. Che cos’è l’Isis, il più probabile tra i possibili sequestratori di Paolo? Cosa ne hanno fatto dopo l’eventuale trattativa? Nulla?
Ma per parlare di Paolo, cioè per parlare di un popolo, non si può parlare solo di un caso di cronaca, si deve parlare di una storia, di una rivoluzione tradita, abbandonata, non certo da lui però. Dunque perché andò a Raqqa quando ne cominciavano a fuggire?
Allora, la nostra conferenza stampa riuscirà a tenere accesa la luce sulla memoria e quindi sulla ricerca del senso di quanto succede, di quanto non si è voluto che accadesse, di quanto continuerà a essere possibile che accada.
Ci troveremo alle Federazione Nazionale della Stampa (questo il link per il collegamento: https://meet.google.com/acs-zgmo-iys) , che è stata con altre case anche la casa della ricerca di Paolo, della sua storia, del suo senso, del suo futuro. E quindi del suo grande di comunicare, graffiante con noi e graffiante con loro, amico e amicale con tutti.
Ciò che rimane o non rimane in vita dipende dai vivi, ci insegna Yassine al Haj Saleh: chi crede nel messaggio del Paolo lo vede anche nell’oggi e lo immagina già nel domani. Per questo è bello sottolineare che il nostro ricordo impegnato non finirà con la fine della conferenza stampa. Domani sera, alle 19, ricorderemo Paolo anche lì dove a lui piacerà di più essere con noi, nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe, in via Francesco Redi 1.
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