Molto si è scritto negli anni sui diari digitali. Molto si è dibattuto e analizzato e studiato, anche qui, da subito, dai nostri primi articoli, curati e realizzati integralmente, soprattutto nei primi anni di attività, dal nostro fondatore e maestro Pino Rea. I blog, questi nuovi strumenti espressivi e di informazione, hanno da subito attirato molta attenzione su di sè, soprattutto fra i giornalisti e gli addetti ai lavori del mondo dell’informazione. La foto del Guardian, racconta in modo perfetto l’arrivo del termine e l’inizio dell’era dei diari on line. Il termine Web-Log che poi si contrae e diventa Blog nel giro di tre anni, viene coniato nel 1994. E poi c’è la nascita in quegli anni, più o meno consapevole, dei primi “influencer”, grazie all’uso dei diari online. Nel 2004, anno della nostra fondazione, numerosi sono stati gli articoli dedicati a questo argomento. Andiamo subito ad estrarre un paio di passaggi da altrettanti contributi pubblicati su Lsdi nel giugno e nell’agosto di quell’anno.
Nel caso dei giornalisti italiani, quindi, il blog sembra incidere sulla professione prima di tutto perché incide sulla vita dell’individuo. Non sembra quindi esservi una netta spaccatura tra il giornalismo tradizionale e quello che viene definito partecipatory journalism. Facendo egli stesso parte di quel circuito di produzione dal basso e di circolazione orizzontale dell’informazione, il giornalista è potenzialmente in grado di portare all’interno di una cultura redazionale ancora chiusa, temi e sensibilità che raccoglie dall’esterno o, per lo meno, di affrontare temi consolidati secondo nuovi punti di vista. Il ‘mischiarsi tra la gente comune’ non vuol dire rinunciare a quegli elementi (la tecnica e la deontologia) che, più ancora che l’iscrizione ad un albo, contraddistinguono la professione.
(estratto dall’intervento di Lorenzo Facchinotti al convegno Culture Digitali di Napoli ripreso su Lsdi il 6 giugno 2004)
I giornalisti (non tutti i giornalisti per carita’) odiano i blog perché talvolta pensano che il foglio di carta che hanno faticosamente raccimolato, l’iscrizione all’ordine professionale li debba in qualche maniera garantire dalla marea di “fancazzisti” che si affacciano oggi in rete ad imitarne le gesta. I giornalisti (certi giornalisti per carita’) odiano i blog perché il mondo editoriale italiano ha in questi anni selezionato spesso per clientele (come tutti gli ambiti professionali con un qualche peso) e insomma del cognome che portano si dovra’ pur tenerne conto. I giornalisti (solo alcuni, i peggiori) odiano i blog perché vogliono ancora continuare a scrivere che c’e’ gente in giro che fa crescere i gatti in bottiglia e gli scoccia che qualcuno gli faccia notare che si tratta di una balla (e loro, poveri che ci hanno creduto). I giornalisti odiano i blog perché non sanno cosa siano e non hanno nessuna voglia di informarsi. I giornalisti (solo alcuni i più zucconi) odiano i blog perché pensano che per comunicare con gli altri si debba frequentare una scuola apposita se no poi gli altri (che sono zucconi) non ti capiscono. I giornalisti (molti, non tutti, ma molti si’) odiano i blog perché odiavano Internet prima e gran parte del lavoro era già fatto e allora fatto 30 facciamo 31. I giornalisti odiano i blog perché e’ come in quel gioco nel quale ad ogni stop della musica si toglie una sedia. E insomma, loro, con rispetto parlando, hanno paura alla fine di rimanere in piedi. A guardarsi la punta delle scarpe pensando a tutta la fatica sprecata per non essere poi proprietari di un bel niente. Esattamente come un blogger… Continua su lsdi