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Cosa avremmo saputo di Ustica senza l’informazione?

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(Intervento al Museo per la Memoria di Ustica, Bologna, 27 giugno 2020)

Ringrazio gli organizzatori di questo convegno per avermi invitata a partecipare in un giorno e in un luogo così significativi. Un grazie in particolare all’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica.

Mi è stato chiesto di contribuire offrendo un inquadramento storico del ruolo che ha avuto la stampa nella vicenda di Ustica. Io mi sono occupata di studiare la vicenda di Ustica in senso ampio. Nel mio libro racconto non soltanto quello che è successo la sera del 27 giugno 1980, ma anche e soprattutto tutto quello che è successo dopo, quando nel nostro paese è nato il “caso politico di Ustica”. Ho quindi usato molto la stampa come fonte e mi sono occupata nel mio libro (Ustica. Una ricostruzione storica, ed. Laterza, 2020) di dare risalto anche a questo aspetto.

E vorrei partire dal titolo di questo nostro convegno: “Cosa avremmo saputo di Ustica senza l’informazione?”, senza il ruolo  della stampa? A mio avviso questo interrogativo è molto pertinente, perché se guardiamo alla storia del caso Ustica, in particolare al processo di svelamento della verità, dobbiamo riconoscere che effettivamente la stampa, i media di informazione hanno svolto un ruolo fondamentale. Hanno contribuito in maniera direi decisiva alla presa di coscienza collettiva della reale entità di questa strage, presa di coscienza che come paese, come cittadini italiani abbiamo assunto nell’arco di questi 40 anni.

Il trovarci qui, oggi, in presenza del relitto dell’aereo, non era scontato 40 anni fa. Anzi. Per capire come e perché la stampa ha svolto un ruolo fondamentale dobbiamo tornare indietro al 1980.

Nell’immediato, la caduta del DC-9 suscita profondo sgomento nell’opinione pubblica italiana. Sin da subito, i media (la stampa e la tv) si interrogano sulle cause di quanto accaduto e interpretano l’ansia e l’urgenza di comprendere le ragioni di quello che sin dall’inizio appare come un “mistero”.

Ben presto però una tesi, tra le tante ventilate, si impone sulle altre: quella del cedimento strutturale. A pochi giorni dalla strage si va diffondendo la tesi secondo cui il DC-9 sarebbe caduto a causa di un non meglio precisato guasto tecnico, di cui sarebbe quindi stata responsabile l’Itavia, che era una piccola compagnia aerea privata che operava in regime di concessione. Anche sull’onda di interessi politici e sindacali, che non hanno nulla a che vedere con la strage, nasce quindi una campagna politico-mediatica volta a screditare l’Itavia, una vera e propria “campagna anti-Itavia” che contribuirà al fallimento della compagnia. E che, soprattutto, ha l’effetto di accreditare la tesi che la strage sia effettivamente stata causata da un cedimento strutturale – tesi che si sarebbe presto rivelata infondata.

In questa prima fase della vicenda di Ustica, la stampa fa da cassa di risonanza della campagna anti-Itavia. Quindi inizialmente, involontariamente, gli organi di informazione fungono da veicolo e amplificazione di un’operazione di disinformazione che parallelamente veniva messa in atto anche dai vertici dell’Aeronautica Militare Italiana, che negli stessi giorni, nelle comunicazioni ufficiali al governo, presentano l’ipotesi del cedimento strutturale come quella più credibile. Oggi sappiamo che questa tesi del cedimento strutturale è stata funzionale agli interessi di coloro che non volevano che emergesse il reale contesto in cui il DC-9 è precipitato.

Questo ci dice che i media sono soggetti complessi. Da un lato contribuiscono in maniera molto importante a formare l’opinione pubblica. Non dobbiamo però dimenticarci che dall’altro lato ne sono a loro volta plasmati, sono cioè esposti a una pluralità di interessi, a potenziali manipolazioni o anche solo a condizionamenti involontari. Analizzando il ruolo dei media dobbiamo tenere conto anche di questo aspetto. Oggi, grazie al senno del poi e alle tante conoscenze che abbiamo ormai acquisito su questa vicenda, siamo in grado di dare una lettura critica del ruolo svolto dai media. Siamo in grado di valutare quando la stampa si è limitata ad amplificare il sentire comune, quando è risultata strumentale a interessi specifici, e quando invece ha contribuito a “svelare” dei rapporti di potere.

E qui veniamo a un tipo specifico di giornalismo che è quello che oggi ci interessa, ovvero il giornalismo d’inchiesta. Il giornalismo che va oltre i comunicati stampa ufficiali, che scava nelle notizie, che porta alla superficie ciò che è tenuto nascosto, che svela informazioni e fatti in grado di “turbare l’opinione pubblica” – riprendo le parole usate da Norberto Bobbio per spiegare il meccanismo dello scandalo politico nell’Italia degli anni ‘80[1].

Se ci riferiamo a questo tipo di giornalismo, allora sicuramente il caso Ustica è un tema su cui sono state prodotte alcune delle più grandi inchieste della storia del giornalismo italiano.

Con Ustica questo turbamento dell’opinione pubblica in realtà si registra in ritardo. Nel dicembre del 1980 l’Itavia viene fatta chiudere per decreto ministeriale, anche se la commissione d’inchiesta dei Trasporti ha già escluso ufficialmente la tesi del cedimento strutturale. La pista del missile c’è già, al punto che è lo stesso ministro dei Trasporti dell’epoca, Rino Formica, a dire alla Camera dei Deputati che è un’ipotesi “più probabile delle altre”[2].

Era il 17 dicembre 1980. Ci si sarebbe aspettati che sulla questione si aprisse un vero e proprio caso politico. Questo però non avviene. Non vi è nessuna discussione parlamentare, nessun Consiglio dei Ministri. Le indagini entrano in una lunga fase di stallo. C’è come un’indifferenza, una rimozione, testimoniata anche dai media che non si occupano di questa strage. Tra il 1981 e il 1986 sono ancora pochissimi gli articoli che vengono pubblicati su Ustica.

Ci sono però importanti eccezioni. Ci sono le inchieste di Andrea Purgatori sul “Corriere della Sera” che svelano la presenza sui tracciati radar di un oggetto non identificato che volava nei pressi del DC-9, e anche l’esistenza di buchi nelle registrazioni radar del sito di Marsala, la base della Difesa che si trovava più vicina al luogo della strage. Il “Corriere della Sera” è l’unico giornale che nel 1981 ricorda la strage dell’anno precedente con un articolo che mette in luce questi aspetti inquietanti, con un richiamo dell’articolo anche in prima pagina. Si mettono quindi apertamente in discussione, sulla base di elementi concreti, le versioni ufficiali del governo italiano.

Nel 1982 c’è un servizio dell’emittente inglese BBC dal titolo “Murder in the Sky”, che viene trasmessa anche in Italia da Rai2. Il servizio sosteneva che il DC-9 fosse stato abbattuto da un missile, riportando le analisi di un tecnico americano, membro di un organismo federale statunitense che aveva rilevato la presenza di un caccia non identificato nei pressi del DC-9. In seguito alla trasmissione di questa inchiesta su Rai2, vengono presentate sei interpellanze parlamentari, rimaste però senza risposta.

“Corriere della Sera”, Rai2: stiamo parlando di canali di informazione mainstream, di notevole rilevanza pubblica. Ma in questa fase, compresa tra la fine del 1980 e il 1986, queste inchieste non provocano le reazioni sperate. I governi non reagiscono alle notizie che mettono in discussione le versioni ufficiali. Non reagisce nemmeno il Parlamento: non c’è nessun dibattito. L’inchiesta giudiziaria è ferma in uno stallo che stava per portare all’archiviazione del fascicolo in un contesto di indifferenza sia istituzionale che di opinione pubblica. Le inchieste giornalistiche – benché appaiano su testate prestigiose – in questi anni non riescono ancora a trasformare in caso politico quello che continuava a essere trattato come un misterioso incidente aereo.

E tuttavia quelle poche ma importanti inchieste giornalistiche si sono rivelate decisive per l’attivazione di un soggetto nuovo che finalmente riesce, nel 1986, a spezzare il silenzio generale su Ustica e suscitare un intervento del governo. Il Comitato per la Verità su Ustica, nato in occasione del sesto anniversario della strage, rivolge un appello direttamente al Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, chiedendo di intervenire per fare chiarezza sulla vicenda. Nell’appello, il Comitato fa esplicito riferimento ai contenuti di queste inchieste giornalistiche, e quindi riprende la tesi del missile, di cui si era saputo soltanto grazie a questi servizi. Nessun altro aveva dato alcun tipo di spiegazione per quanto accaduto. È quindi grazie a queste inchieste che i soggetti interessati a bussare alle porte delle istituzioni per chiedere la verità hanno potuto apprendere che quella del missile non era un’ipotesi soltanto teorica (come lo era invece quella della bomba). Si trattava di un’ipotesi fortemente concreta, perché il tracciato radar mostrava la presenza dell’aereo aggressore.

Si arriva così al recupero dell’aereo, avvenuto tra il 1987 e il 1988, e si entra in una fase nuova, dinamica. E assistiamo a una forte tematizzazione giornalistica del caso Ustica. Inizia così la stagione delle inchieste su Ustica.

E, cosa molto importante, abbiamo la televisione, che fa entrare le ombre e gli inquietanti interrogativi di Ustica direttamente nelle case degli italiani, e che dimostra – nell’Italia della fine degli anni ‘80 – una nuova efficacia nel “turbare l’opinione pubblica e le istituzioni”.

L’esempio più noto è rappresentato dalla trasmissione “Telefono giallo” condotta da Corrado Augias, che il 6 maggio 1988 trasmette la puntata, rimasta celebre, in cui arriva in diretta la telefonata di un sedicente aviere che riferisce di essere stato in servizio, la sera della strage, nella base aerea di Marsala dove gli avrebbero ordinato di “starsi zitti”. Questo format nuovo della linea telefonica aperta provoca un forte effetto di verità. Inizia da quel momento in poi una fase in cui la televisione mostra colpi di scena, svela clamorose rivelazioni. E questo provoca effetti concreti, non solo perché stimola le indagini offrendo ai magistrati nuovi elementi su cui lavorare. Pochi giorni dopo la puntata di “Telefono Giallo”, il caso Ustica viene inserito, tramite un provvedimento ad hoc, tra i temi su cui sarebbe stata chiamata a indagare la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi.

Nel novembre del 1988 “Tg1 Sette”, la rubrica settimanale di approfondimento del Tg1, all’epoca diretto da Nuccio Fava, trasmette due inchieste in cui viene sostenuta l’ipotesi del missile sganciato durante un’esercitazione militare NATO. Inoltre le autorità militari italiane vengono accusate di aver insabbiato la verità. Queste inchieste sollevano un vero e proprio polverone politico. In Parlamento fioccano interpellanze e interrogazioni, anche da parte dei deputati liberali, compagni di partito del Ministro della Difesa dell’epoca, Valerio Zanone. Si attiva anche il Presidente del Consiglio, Ciriaco De Mita, che istituisce una commissione di indagine alle sue dirette dipendenze.

Nel maggio del 1990, una puntata del talk-show “Samarcanda” diretto da Michele Santoro svela per la prima volta l’esistenza di nuovi tracciati radar. L’inchiesta, realizzata da Antonio De Marchi e Valerio Gualerzi per la rivista “Rinascita”, mostra l’esistenza dei tracciati radar del sito di Poggio Ballone (Grosseto) da cui si evince la presenza di nuove tracce di aerei militari nei pressi del DC-9 Itavia[3]. Il servizio getta ombra sull’operato della magistratura che viene accusata di non stare lavorando su tutti i dati disponibili. Queste rivelazioni hanno effetti concreti: suscitano un intervento diretto del Consiglio Superiore della Magistratura, portano alla calendarizzazione di nuove audizioni in commissione stragi, provocano mobilitazioni della società civile (ricordiamo che nel 1988 nasce ufficialmente l’Associazione dei famigliari delle vittime). Tutto questo turbamento crea polemiche che, alla fine, portano alle dimissioni del magistrato inquirente, Vittorio Bucarelli, e alla nomina come nuovo titolare delle indagini del giudice istruttore Rosario Priore. Questa è una svolta importantissima nella storia del caso Ustica, perché come sappiamo le indagini ricevono un impulso fortissimo sotto la conduzione di Priore.

Quindi le inchieste giornalistiche hanno svolto un ruolo decisivo nello svelare all’opinione pubblica dei fatti che, una volta svelati, non potevano che effettivamente provocare un forte turbamento, il che a sua volta portava a svolte reali anche a livello giudiziario. Il tutto avviene in un’Italia, quella della fine degli anni ’80 e inizio anno ’90, in cui vi era un clima di crisi di legittimità politica che di lì a poco avrebbe travolto tutto il sistema politico. Un passaggio storico in cui gli scandali politici e le loro diramazioni avevano una rilevanza maggiore che in passato.

Vorrei concludere riportandovi i risultati della ricerca che ho svolto sui documenti della Difesa, oggi consultabili all’Archivio Centrale dello Stato, che ci mostrano come le inchieste della stampa venivano vissute dai militari in quegli anni.

Nei documenti si nota che, all’epoca, il 5° Reparto dello Stato Maggiore dell’Aeronautica, quello responsabile per lo sviluppo delle politiche comunicative, monitora costantemente la stampa e segnala all’attenzione dello Stato Maggiore dell’Aeronautica gli articoli che rischiano di mettere in cattiva luce l’immagine dell’arma. A partire dal 1986, sulla base di queste continue segnalazioni, lo Stato Maggiore dell’Aeronautica chiede al Gabinetto della Difesa di prendere dei “provvedimenti” – cito testualmente – “per arginare la campagna di stampa”[4]. Questa richiesta viene avanzata più volte. Ma la risposta che arriva è negativa: gli unici interventi che vengono considerati dal governo sono quelli privati da intraprendere direttamente nei confronti dei direttori delle testate, perché – dicono i documenti – viene accusata una “estrema difficoltà” nel confutare i contenuti delle inchieste, senza “produrre impressioni negative sull’opinione pubblica”[5].

Credo che in questo documento, in questa effettiva difficoltà espressa dal Ministero della Difesa nel confutare pubblicamente i contenuti delle inchieste giornalistiche, abbiamo la conferma che su Ustica è stato fatto del buon giornalismo.

 

[1] Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1994, p. 93

[2] Atti Camera dei Deputati, VIII Legislatura, Discussioni, seduta antimeridiana del 17 dicembre 1980, p. 21542

[3] Antonio De Marchi e Valerio Gualerzi, Ustica, il radar che ha visto tutto, in «Rinascita», 10 giugno 1990, pp. 4-11

[4] Acs, Raccolte speciali / Ministero della Difesa / Aeronautica Militare / Ustica (1980) / Ufficio generale per la comunicazione (1980-2013) / 3: Stampa e programmi radio-televisivi (1980-1988) / Notizie stampa (1986).

[5] Acs, Raccolte speciali / Ministero della Difesa / Aeronautica Militare / Ustica (1980) / Ufficio generale per la comunicazione (1980-2013) / 1: Articoli stampa (1980-1986) / Appunto del quinto reparto SMA (firma colonnello Bomprezzi) al capo SMA del 6 giugno 1986.

 


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