In audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni il presidente Conte è arrivato a mani vuote. Ha parlato per quasi due ore; c’ha messo la faccia, invitando ad imputare a lui e non all’ambasciatore il fallimento dell’azione diplomatica; ha ribadito inflessibilità sulla richiesta di verità e giustizia; ha difeso la scelta di non interrompere il dialogo con l’Egitto; non ha messo in discussione, pur non avendone esplicitamente parlato, la vendita delle due fregate Fremm al governo di Al Sisi. Di fatto però non ha portato nulla di concreto: né i vestiti di Giulio, né il domicilio legale dei cinque indagati. Quest’ultimo è il luogo in cui l’indagato riceve gli atti dell’inchiesta, ma anche il presupposto per avviare un processo: era stato chiesto più di un anno fa dalla Procura di Roma; è stato richiesto qualche giorno fa dal ministro Di Maio al suo omologo egiziano in una lettera, in cui sottolineava che proprio perché i rapporti bilaterali non possono prescindere dalla verità sulla morte di Giulio Regeni serve un rapido riscontro alla rogatoria in particolare in merito alla notifica del domicilio legale degli indagati.
Nel frattempo nessun passo avanti è stato fatto ed è trascorso più tempo dal tragico rinvenimento del cadavere di Giulio (già 4 anni e 4 mesi) di quanto ne manchi al 5 febbraio 2021 (meno di 8 mesi), data in cui scadrà l’ultima proroga delle indagini della Procura. Una data ghigliottina dopo la quale le enunciazioni di principio non serviranno davvero più, anzi suoneranno ancora più retoriche e inconsistenti. In mancanza di sviluppi a quel punto sarà chiaro che conciliare principi e interessi forse non è sempre possibile. E non è un caso, come hanno ricordato il presidente Palazzotto e la deputata Quartapelle, se l’Egitto è in cima alla classifica dei Paesi con cui l’Italia commercia armi e ci sono 9 miliardi di commesse in armamenti. E non è incomprensibile che Paola e Claudio Regeni si sentano traditi, come hanno dichiarato durante l’ultima puntata di Propaganda Live, e che dicano basta agli atti simbolici, perché il tempo è scaduto.
Tra meno di due settimane, il 1° luglio, è in programma un incontro tra il Procuratore di Roma Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco e la Procura generale del Cairo: sarà il momento della verità per conoscere le reali intenzioni dell’Egitto e capire se è ancora possibile ottenere una risposta esaustiva a tutti i punti della rogatoria del 29 aprile 2019 e la consegna dei cinque agenti dei servizi egiziani iscritti nel registro degli indagati il 5 dicembre 2018 perché vengano processati in Italia, richieste entrambe avanzate dalla famiglia Regeni che le considera conditio sine qua non per raggiungere l’unico obiettivo che tutti dovrebbero perseguire: una verità giudiziaria completa, che dica chi ha sequestrato, torturato e assassinato Giulio e perché e su mandato di chi lo ha fatto.
Sono giorni decisivi, dunque: è per questo che si sono levate molte voci all’indirizzo del Governo e del presidente Conte. Perché mai come ora è il momento di scegliere con chiarezza da che parte stare.
Noi non abbiamo dubbi e continuiamo a stare dalla parte dei diritti umani e della famiglia Regeni.