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#STRAGEUSTICA e il racconto giornalistico che dura da 40 anni. Daria Lucca: “Certe volte ho provato rabbia. Un abbraccio ai familiari delle vittime”

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“Ustica, depistaggio di una strage negata per 40 anni” è l’articolo firmato da Daria Lucca per il Manifesto nell’edizione che precede di poche ore il quarantesimo anniversario di uno dei tanti, troppi, cosiddetti misteri d’Italia che poi così misteriosi non sono più proprio grazie al lavoro di tanti giornalisti che non si sono mai fermati né arresi alle menzogne. Il caso Ustica brucia, quest’anno ancora di più. E potrebbe essere una sconfitta se non fosse per la inesauribile volontà di continuare a raccontare tutte le anomalie, i tasselli mancanti e quelli ritrovati, in un puzzle difficile ma non impossibile. Abbiamo chiesto a Daria Lucca di aiutarci a capire cosa significa scrivere di una storia così lunga e difficile per così tanto tempo.

Quaranta anni dopo Ustica e senza verità. Che effetto fa su una giornalista che ha seguito tutte le tappe? Sul piano emotivo oltre che professionale, intendo

Senza verità è la definizione corretta se pensiamo che non ci sono colpevoli individuati, processati e condannati penalmente. Per fortuna, c’è un giudice a Palermo, città destinazione del volo Itavia, la cui sentenza anche in grado d’Appello ha stabilito che l’areo fu vittima di una scena di guerra tra aerei militari. E’ il giudice civile, da cui i familiari delle vittime sono stati risarciti per la mancata sicurezza dei cieli in cui dovevano essere protette dal Ministero della Difesa e dei trasporti. Questa verità, e potremmo chiamarla dimezzata mancando il nome e cognome dei responsabili, ce la dobbiamo tenere stretta. Quando la magistrata di Palermo emise la sentenza di primo grado a favore dei familiari, per la prima volta provai un moto di ringraziamento verso il sistema giustizia italiano. Certo, Rosario Priore fece del suo meglio e rinviò a giudizio generali e altri ufficiali, ma solo per attentato agli organi costituzionali e concorso in alto tradimento e comunque altra magistratura li mandò assolti. Così come la prima magistratura inquirente che affrontò il caso accettò troppo supinamente le dritte che l’Aeronautica le inviava: inutile cercare lì, là non c’è nulla. Tutte dritte che nel tempo si sono rivelate quantomeno errate, se non depistanti.
L’effetto complessivo non nascondo che sia deprimente. Si lavora, si lavora e non si cava nulla o molto poco. La rabbia è l’altra emozione costante: come altrimenti ti viene da reagire quando la marina Usa ti dice che i radar della Saratoga sarebbero stati spenti, in rada a Napoli, per non disturbare Drive In…? Poi subentra la frustrazione, se un testimone che in privato ti ha raccontato una cosa rifiuta di confermarla al giudice. Ma su tutto, sempre, il pensiero doloroso di quei nostri 81 concittadini che con fiducia si erano imbarcati per tornare a casa o andare in vacanza e quando il comandante stava per annunciare che cominciava la discesa verso Palermo, furono travolti da un evento terribile, pauroso, senza speranza. Ogni volta che provavo a immaginarli nella vividezza di quei minuti finali, di immaginare i loro visi, i loro pensieri, confesso che la commozione era più forte di ogni altro sentimento. Anche in questi giorni di commemorazione, continuo a pensarli. E, sempre, chiedo loro scusa perché non siamo stati capaci come paese di rendere loro giustizia.

Ti sei fatta un’idea del perché ogni storia importante in Italia è cosparsa di tanta “nebbia”?

Molto spesso le storie importanti sono anche storie che dividono. Sono convinta che una buona parte dei militari abbia taciuto per un malinteso senso di disciplina verso ordini e gerarchie a cui in via normale giustamente obbediscono. Altri viceversa lo hanno fatto per fedeltà non alla costituzione ma a un’ideologia che non necessariamente rappresentava gli interessi del nostro paese. Quanto alla politica, una delle domande a cui mi piacerebbe trovare risposta è appunto se fu così debole di fronte ai militari da essere silenziata, oppure se davvero esercitò i suoi obblighi istituzionali di governarne le iniziative e le decisioni. Infine, non va dimenticata la magistratura. So di correre un grosso rischio, ma forse è arrivato il momento di correrlo: la magistratura non può sempre attribuire ad altri le proprie inefficienze e i propri ritardi. E direi che 40 anni si possono ben definire un ritardo incolmabile.

Tutti, ogni anno, ci chiediamo cosa stanno provando i familiari. Lo chiedo anche a te. Cosa possiamo dire ancora loro?

Ai familiari delle vittime di Ustica possiamo soltanto dire, ogni giorno, che li ringraziamo perché senza di loro non ci sarebbe nemmeno stato il caso. Se non si fosse creata l’Associazione e se non fosse stata così presente e incisiva, Ustica sarebbe stato dimenticato come incidente, uno dei tanti aerei che si era rotto. Sono stati i familiari a riaccendere l’interesse intorno alla tragedia, a convincere Giuliano Amato a procedere al recupero, ad avere il sostegno del presidente della repubblica Napolitano. Con i familiari, dobbiamo ringraziare i loro avvocati e i loro periti, che si sono spesi con una generosità raramente vista. Ma, come dicevo prima, dobbiamo anche chiedere loro scusa a nome di un paese che non è stato capace e non ha trovato il coraggio di fare giustizia. E poi abbracciamoli, un grande abbraccio virtuale – ora sappiamo che cosa sia – che li sostenga nella ricerca di un po’ di pace.

In questi giorni molti colleghi stanno ripercorrendo al millimetro tutti i documenti di cui disponiamo, cosa è emerso, secondo te, di veramente nuovo?

L’indagine giornalistica per fortuna non ha soste. Ciò che emerge conferma il quadro generale: un aereo civile coinvolto in un atto di guerra i cui protagonisti si contano sulle dita di una mano ma le cui responsabilità individuali, perciò penali, non riescono a emergere. A questo punto della vicenda, si potrebbe tuttavia approfittare dell’unica grande differenza politica tra oggi e il 1980: l’Europa. Politicamente, forse è arrivato il momento di pensare iniziative che coinvolgano l’Unione. Abbiamo chiesto, via rogatoria giudiziaria, informazioni a Francia, Usa, Libia. Bene, si chieda all’Europa di farsi parte attiva diligente per convincere ogni paese europeo che disponga di informazioni utili a farsi avanti. Faccio un paio di esempi. E’ vero che Gheddafi era in volo quella sera dalla Polonia, dalla Jugoslavia o dalla Bulgaria? Perché i governi di questi paesi, che siedono allo stesso tavolo con noi, non possono rispondere? Oppure: la Germania schierava quel giorno uno squadrone dei suoi Phantom a Gioia del Colle. Che cosa ci facevano? Io penso che la signora Merkel risponderebbe, se interpellata. Magari dalla sua ex ministra von der Leyen.


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