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Un noir atipico. ‘Detour’ di Edgar G. Ulmer (1946)

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Detour di Edgar G. Ulmer è uno di quei film “cult” che mette d’accordo critica e pubblico. Girato nel 1946 ad Hollywood come un b-movie a basso costo, successivamente è stato rivalutato come film d’autore.

Si tratta infatti di un noir atipico, in cui gli stilemi del genere sono rivisitati in modo originale. Per esempio, a differenza dei noir di quel periodo, ambientati solitamente in interni notturni, ci sono molte scene girate per strada, anche durante il giorno. Inoltre se nella maggior parte dei film di genere prevale una morale manichea, dove il Male alla fine viene punito, in Detour non c’è nessuna redenzione, perché il protagonista appare vittima di una sfortuna cieca che lo coinvolge negli eventi più assurdi, degni di un racconto di Kafka.

Ann Savage e Tom Neal

Al è il pianista jazz in un modesto locale a New York. È fidanzato con la cantante, che gli annuncia che presto si trasferirà a Los Angeles. Dopo poco tempo anche lui si convince di raggiungerla e comincia un viaggio allucinante dagli esiti imprevisti, dove incontrerà vari personaggi, tra cui Vera, un’inquietante autostoppista.

Ed è proprio il rapporto di potere tra lei e Al a suscitare più curiosità, è infatti evidente fin da subito quale sia la parte dominante (la donna). Nonostante Vera continui ad accusarlo di essere un delinquente assassino sa che Al è innocente e per questo si diverte a tormentarlo e si ha l’impressione che sia interessata a tenerlo legato a sé, non tanto per i soldi ma per avere un compagno d’avventure. Vera infatti lo insulta, lo umilia, lo minaccia ma più di una volta cerca di sedurlo.

Al contrario degli altri noir, dove di solito il protagonista è infatuato di una donna affascinante e pericolosa, in Detour è il protagonista ad essere l’oggetto del desiderio della dark lady.

Tra i due infatti quello ad essere più “erotizzato” dallo sguardo della macchina da presa è proprio Al, un uomo bello e dal fascino ombroso, desiderato non solo dall’universo femminile ma anche da quello maschile, come fa supporre l’ambiguo approccio dell’avventore alla tavola calda.

Detour è considerato un capolavoro dell’assurdo, dove il protagonista sembra la vittima di un fato capriccioso e crudele. Ma analizzato sotto un altro punto di vista più psicoanalitico, ci si rende conto che è Al stesso a crearsi le condizioni per il suo “inferno” privato. Non è il destino ad essere irrazionale, ma il suo modo di reagire agli eventi. Per esempio, perché non avverte subito la polizia dopo aver scoperto il cadavere di Haskell? Al non è lucido per chiamare aiuto, ma lo è abbastanza per occultare il cadavere e rubargli documenti, soldi, vestiti e macchina. Inoltre perché fermarsi a dare un passaggio ad una sconosciuta, quando smania di arrivare dalla fidanzata? Al successivamente dichiarerà di essere stato sfortunato per aver caricato l’unica autostoppista che non avrebbe dovuto, ma ciò dimostra solo il contrario, il suo inconscio desiderio di incontrarla.

L’uomo fin dall’incipit è demotivato, non crede in sé né come artista né come uomo. Nella sua parte più recondita cerca di autosabotarsi, come se non si reputasse degno di vivere una vita felice.Tutti gli eventi nefasti che gli capitano, non sono quindi sventure ma tasselli di un più ampio percorso finalizzato all’autodistruzione.


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