È bastato aggiungere due puntini per rappresentare la soluzione del mistero di Ustica. Come in un gioco enigmistico nelle prime due lettere della località simbolo della strage più depistata d’Italia c’è lo svelamento del mistero. Come erano andate le cose la sera del 27 giugno 1980 lo si era capito fin da subito. Pochi giorni dopo la morte di ottantuno persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio del Dc9 Itavia, il quotidiano «l’Unità» scriveva: “l’affollamento incontrollato di questa rotta proprio all’altezza delle due isole per effetto di esercitazioni militari (italiane e Nato) che potrebbe aver causato una collisione”.
Manca all’articolo solo la presenza di un Mig libico fuori controllo perché l’incidente della Sila non era ancora di pubblico dominio e non erano stati decodificati i tracciati radar del centro di controllo di Ciampino. Ma il resto c’è tutto. C’è il famigerato punto Condor dove si era già verificato un affollamento incontrollato, la presenza di aerei militari intorno al DC9 e una parola che i generali dell’Aeronautica non riescono a pronunciare neanche oggi: collisione. Ci vollero ben diciannove anni perché il giudice Rosario Priore scrivesse in una storica sentenza-ordinanza che la Strage di Ustica è stata un atto di guerra, una operazione di polizia internazionale, sui cieli del nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti.
Una versione terribile che era nota ai vertici dell’Aeronautica fin nell’immediatezza dell’evento che si decise di occultare ai parenti delle vittime e agli italiani. Nel corso della notte della tragedia, quando ancora i resti del DC9 non erano stati avvistati dai mezzi di soccorso, si decise di non dire la verità. Mentre c’era chi era assalito dalla disperazione e chi era impegnato nelle ricerche, nella sede dell’ambasciata americana a Roma militari infedeli e uomini dei servizi segreti deviati si incontravano con gli omologhi d’Oltreoceano per decidere come nascondere la verità al Paese. Così nasce la sistematica distruzione delle prove. “Una mente intelligente”, scrive Priore, “ha tolto dai siti radar della Penisola tutto quanto si poteva togliere per impedire la ricostruzione dell’evento”.
L’elenco dei centri di controllo da cui sono state fatte sparire tabulati e registrazioni è impressionante: da Licola a Marsala, da Poggio Renatico a Poggio Ballone, da Potenza Picena a Punta Raisi, da Martina Franca a Grosseto a Ciampino. Questo ha impedito di procedere contro gli autori della Strage, ancora oggi ignoti. È noto invece il contesto in cui è avvenuta la Strage nel tratto di mare tra le isole di Ponza e Ustica. E lo è grazie all’impegno dei magistrati, all’onestà di una parte dei periti, alla testardaggine di alcuni giornalisti e, soprattutto, alla tenacia dei famigliari delle vittime. Proprio mentre dai vertici dell’Aeronautica venivano diffuse palate di bugie, poche decine di persone hanno permesso alla verità di venire a galla. I generali giuravano che non c’erano aerei militari intorno al DC9 nel raggio di cinquanta miglia, che la causa del disastro era un cedimento strutturale o una bomba e di queste false informazioni avevano inondato i ministri e il governo. Un comportamento configurabile come alto tradimento. C’è stato anche un processo contro i capi dell’Aeronautica italiana finito con delle assoluzioni perché nel frattempo era intervenuta una legge ad personam approvata dalla maggioranza parlamentare berlusconiana che aveva cambiato la natura del reato di alto tradimento. Però i famigliari delle vittime si erano costituiti in associazione designando alla presidenza Daria Bonfietti.
Mentre c’era chi tramava e occultava le prove, l’Associazione parenti vittime strage di Ustica cercava alleati. Prima un gruppo di intellettuali e alcuni politici particolarmente sensibili, poi degli esperti incorruttibili e le organizzazioni della società civile. Piano piano la verità su Ustica si è fatta strada e se oggi conosciamo quasi tutto su quei terribili secondi che hanno stroncato la vita di ottantuno civili durante un’azione militare lo dobbiamo a chi non si è mai stancato di chiedere verità e giustizia. Come si spiega tanto accanimento nel nascondere gli eventi del 27 giugno? Rileggendo la storia di quegli anni il motivo risulta evidente, con la contrapposizione tra i due blocchi, il dispiegamento degli Euromissili e un Paese che non doveva sapere. Rimettendo in fila tutti gli avvenimenti è chiaro come anche la Strage di Bologna trovi un evidente movente se collegata a Ustica. La strage alla stazione è stata pensata in quel laboratorio italo-americano che è stata la loggia segreta P2 di Licio Gelli ed eseguita dalla manovalanza neofascista.
Dopo la Strage di Bologna quella di Ustica è entrata in un cono d’ombra, l’unica strage che interessava agli italiani era quella alla stazione. Così è stato per lunghi anni. Sappiamo che il diavolo fa solo le pentole e oggi siamo in grado di conoscere tante cose su Ustica. Come scrive Daria Bonfietti nella postfazione che impreziosisce il mio libro: “Ho sentito, sento, troppe volte dire ‘Ustica grande mistero d’Italia’. Oggi in questo 2020, a 40 anni dalla tragedia, mi sento di affermare con forza che Ustica è una ‘grande verità conquistata’. Leggere queste pagine di Pino Nazio, vedere messe in fila tutte le azioni, tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato questo lasso di tempo, da quella sera del 27 giugno 1980 ad oggi, è incredibilmente conturbante. Fa rivivere emozioni forti, momenti di grande dolore, momenti di grandi speranze, momenti di grandi difficoltà, di solitudine, di disperazione, ma ci fa rileggere e considerare anche i risultati finalmente positivi che la dura battaglia ci ha permesso di raggiungere”.