“Ti scippo la testa, sarò il tuo peggiore incubo”. Era tutto scritto negli atti processuali, parole terribili pronunciate da Giovan Battista Ventura. Frasi dettate dal fastidio per le inchieste di un giovane giornalista scomodo e dall’arroganza derivante da un atteggiamento di tipo mafioso. Questo è accaduto a Paolo Borrometi, destinatario delle minacce di Giovan Battista Ventura, da tutti chiamato Titta, che ieri è stato condannato a un anno e dieci mesi di reclusione dalla Corte d’Appello di Catania. Il commento di Paolo Borrometi, Presidente dell’Associazione Articolo 21 e impegnato da anni a difendere i colleghi minacciati in tutta Italia, è arrivato dopo qualche ora, il tempo per inquadrare, di nuovo, quei terribili momenti, ripercorrerli con amarezza ma con la fiducia di sempre nella nostra democrazia.
“Sono passati anni da quelle minacce. – dice Borrometi – E a quelle, purtroppo, negli anni se ne sono aggiunte tante altre. Ho continuato a fare il mio dovere: scrivere articoli. Con nomi e cognomi. L’ho fatto da giornalista e da uomo libero. L’ho fatto con la paura che inevitabilmente mi accompagna ogni giorno. L’ho fatto denunciando alle Autorità competenti qualsiasi minaccia. Oggi quello che viene considerato il boss di Vittoria, Titta Ventura, viene condannato (anche) in secondo grado per le minacce, la tentata violenza aggravate dal metodo mafioso”.
Anche oggi, rileggere quelle frasi fa male a Paolo, al giornalismo, al Paese, alla Costituzione e questa sentenza è importante per il riconoscimento del reato consumato contro Paolo Borrometi e del danno arrecato all’intera categoria dei giornalisti italiani, per essi alla Fnsi cui è stata riconosciuto un risarcimento specifico.
“A me aveva riservato parole come: ‘Ti scippu a testa, d’ora in avanti sarò il tuo peggiore incubo e poi ci incontreremo nell’aldilà. Se vuoi ci incontriamo anche negli uffici della Polizia, ti puoi portare anche l’esercito, tanto la testa te la scippu u stissu’. – ricorda ancora Borrometi – E queste sono solo alcune. Altre, riferite dai collaboratori di Giustizia, facevano male solo a sentirle, figuratevi a pensare che fosse a me che venivano rivolte. Ma oggi viene riconosciuto l’impegno giornalistico ed il risarcimento alla Federazione della Stampa, all’Ordine dei Giornalisti ed al Comune di Vittoria. Spero che con i soldi del risarcimento danni si possano sostenere colleghe e colleghi nel loro lavoro quotidiano. Non nascondo, non sono abituato a farlo, la stanchezza che ho accumulato in questi anni. Ho in corso (come parte offesa!) ben 32 processi nei confronti di 45 imputati e, ogni volta, testimoniare ripercorrendo tutti i fatti, dettaglio dopo dettaglio, è un’impresa titanica. Quella di oggi è la sesta sentenza di condanna (la terza con l’aggravante mafiosa)”.
C’è un ombra, anch’essa brutta, in questa storia ed è un’ombra che purtroppo ha caratterizzato tantissime storie di mafia. Ne parla lo stesso giornalista: “In questi mesi, alle minacce, si sono aggiunti i tentativi di delegittimare il mio impegno e ciò che ho scritto in questi anni. Ma per questo ci sarà tempo. Oggi vorrei ringraziare la mia famiglia, i miei amici, i colleghi della Fnsi e dell’UsigRai, su tutti Beppe Giulietti, Raffaele Lorusso, Vittorio Di Trapani, il mio avvocato Vincenzo Ragazzi (per il suo impegno quotidiano), l’avvocato della Fnsi, Roberto Sisto. Ed ultima, non ultima, la “mia” famiglia di Articolo 21, con (per tutti) Stefano, Elisa, Antonella, Graziella”.
E tutti noi di Articolo 21 esprimiamo grande solidarietà a Paolo Borrometi con lo spirito di una squadra e con la convinzione che una buona informazione in Italia è ancora possibile e che le sentenze sono lo spartiacque tra l’impegno e la delegittimazione.