In Sierra Leone, piccolo paese dell’Africa Occidentale, il distanziamento sociale è la strada meno percorribile per evitare la trasmissione del Covid-19.
I sierraleonesi, come da tradizione, condividono piccoli spazi sia nei distretti rurali che in città. La vita comunitaria è per tutti fonte di supporto economico e familiare.
Il Paese, che ha affrontato una sanguinosa guerra civile dal 1991 al 2002, conta adesso circa 7 milioni di abitanti, accomunati dal costante timore che altri disordini possano insorgere qualora vi fosse motivo di nuove tensioni sociali.
Si tratta, in realtà, di un popolo estremamente pacifico e tollerante – uno dei Paesi africani più tolleranti dal punto di vista religioso – ma che comunque nei momenti di difficoltà economica rischia l’insorgenza di alcuni gruppi più violenti, o semplicemente più affamati.
Il Governo attuale eletto nell’aprile 2018 è guidato dall’ex Generale Julius Maada Bio, già Capo di Stato Militare fino al 1996. Nonostante raccolga il consenso di metà della popolazione, l’altra metà è comunque timorosa di misure per contenere l’epidemia. Misure insostenibili per gran parte dei sierraleonesi. Inoltre è forte la preoccupazione che più potere a polizia e militari possa creare scontenti e disordine.
E i sierraleonesi – bisogna dirlo – la guerra non la vogliono, così come non vogliono ripetere la strage che ha provocato l’epidemia di Ebola del 2014. Da qui la responsabilità che i cittadini stanno dimostrando e il rispetto del lockdown e del coprifuoco imposti dal Governo. In quanto alle altre misure precauzionali, se possono permettersela comprano anche una mascherina, e installano punti per lavarsi le mani in ogni posto pubblico.
Ma questo non basta, tenuto conto che famiglie di 10 membri vivono insieme sotto lo stesso tetto. Nelle città è difficile permettersi un alloggio monofamiliare (il 10% della popolazione urbana vive nelle baraccopoli delle città e dei dintorni). Ma va anche considerato che condivisione è la parola chiave per sopravvivere al susseguirsi di sofferenze che il popolo di tanto in tanto è costretto a sopportare.
Il coprifuoco imposto dal Governo non permette a nessuno di spostarsi a partire dalle 9 di sera, difficile anche raggiungere le strutture sanitarie in caso di emergenza. La mancanza di materiale e l’assenza di personale sanitario fanno sì che un caso positivo all’interno di un ospedale scateni il panico, così da costringere la gestione a chiudere la struttura. E sono sempre meno i cittadini che hanno accesso alle cure sanitarie di base: parliamo del parto per le donne, dei farmaci antimalarici per i bambini, dei servizi ai pazienti diabetici… Continua su vociglobali