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Se Cristoforo Colombo crolla per l’antirazzismo

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di Andrea Mulas. Ricercatore Fondazione Lelio e Lisli Basso

È storia nota, ma volutamente nascosta sotto libri impolverati, come un fantasma rimosso dalla coscienza e dalla memoria contemporanea d’Europa, eppure la «missione civilizzatrice» o il «fardello dell’uomo bianco» (per dirla con Rudyard Kipling) erano concetti ancora in uso nel secolo scorso.

Il capitano Junieux, ufficiale della Force Publique si rivolgeva in questi termini sprezzanti al console Roger Casement, in missione in Congo per indagare sugli orrori del colonialismo belga: «Perché siamo venuti, allora? Lo so già: a portare la civiltà, il cristianesimo e il libero commercio». Anche Marlow, il narratore di Conrad, a bordo della nave che risaliva il Congo, si esprimeva in questi termini sprezzanti verso i popoli africani: «penso che nessuno di loro avesse un’idea chiara del tempo, come l’abbiamo noi della fine di innumerevoli ere. Essi appartenevano ancora agli inizi del tempo – non avevano nessuna esperienza ereditaria che, per così dire, li ammaestrasse». D’altronde le conseguenze dei metodi repressivi descritti anche in Cuore di tenebra sono visibili a più di cento anni di distanza: «Le nostre vittime ci conoscono dalle loro ferite e dai loro ferri. Questo rende la loro testimonianza irrefutabile». Con queste parole Jean-Paul Sartre stigmatizzò la pratica del colonialismo nel Terzo Mondo, quel «demone flaccido, simulatore, dall’occhio debole, di una follia rapace e spietata», che per secoli aveva sottomesso e depredato i “dannati della terra”.

Il movimento “Black Lives Matter” che ha invaso il pianeta in questi giorni non ha fatto altro che denunciare con vigore non solo le ingiustizie subite dalle minoranze etniche o religiose, ma soprattutto il fondamento culturale legittima l’impianto razzista al di qua e al di là dell’Oceano.

Negli ultimi anni ci troviamo di fronte alla rinascita e all’affermazione non solo delle espressioni più bieche di eurocentrismo, ma anche di nuove forme di etnocentrismo e di razzismo istituzionale che prendono fisionomia nella percezione dell’altro, creando dei filtri che impediscono il processo d’integrazione. Di conseguenza minano alle basi la costruzione di una democrazia inclusiva e interculturale fondata sulla promozione e protezione dei diritti umani e dei diritti dei popoli.

L’alternativa all’insicurezza, ai confini, ai muri, alla schiavitù consiste proprio nel gettare le basi per costruire una società futura quale “comunità planetaria” (per dirla con padre Ernesto Balducci) contro l’“universalismo asimmetrico” dei diritti che affonda le radici nelle bolle papali di Alessandro VI emanate all’indomani della scoperta del Nuovo Mondo.

Può apparire un tempo tanto distante e una realtà lontana da noi, ma nei fatti è costantemente presente nella nostra quotidianità. Non si spiegherebbe altrimenti la protesta iconoclasta contro la statua di Leopoldo II a Bruxelles, responsabile dell’eccidio di milioni di persone negli anni dell’annessione dei territori dell’allora Congo belga,  oppure l’abbattimento della statua del mercante di schiavi del XVII secolo Edward Colston a Bristol e di quella di Cristoforo Colombo a Minneapolis, nel Minnesota, mentre in Virginia al collo del navigatore genovese è stato affisso il cartello: “Colombo rappresenta il genocidio”. Non è così assurdo e incomprensibile. Per cinque secoli i soli occidentali hanno goduto di diritti a danno delle popolazioni del Nuovo Mondo, si pensi allo ius migrandi e allo ius peregrinandi, abusandone attraverso colonizzazioni selvagge, rapine, tratta di schiavi, pandemie e massacri. Oggi, chi protesta, a torto o a ragione individua proprio qui le origini del suprematismo bianco, ovvero l’autore di una lunga scia di abusi e violenze.

Tornano alla mente le parole di padre Balducci, quando alla fine degli anni Ottanta anticipò che il destino dell’Europa (ma non solo aggiungo) sarebbe stato la scoperta dell’Altro, perché «la dannazione dell’Europa, specie di quella nella sua fase ultima, colonialista ed imperialistica, è di non avere mai incontrato l’altro, di avere comunque esportato il proprio modello, di averlo imposto fino allo sterminio di chi resisteva. La nostra storia è questa: o l’assimilazione del diverso attraverso le vie dell’integrazione progressiva, o il suo sterminio».

Ph. Radio Alfa

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