Non molto tempo fa, la vicenda che state per conoscere avrebbe sollevato un vespaio di critiche e denunce, molto probabilmente proprio da quegli esponenti pentastellati che ora, invece, sono muti come pesci, anche perché sono loro i responsabili di quanto sta avvenendo. Ma andiamo con ordine.
L’assistenza scolastica ai bambini disabili è un servizio socioeducativo di competenza degli enti locali, come stabilisce la legge 104 del 1992. Nella Capitale, fino al 2000 il servizio era garantito da operatori alle dirette dipendenze del Comune, ma in quell’anno la giunta Rutelli decise di avviarne l’esternalizzazione, affidandone quote sempre crescenti alle cooperative sociali. Ancora nel 2004, gli operatori impiegati erano per metà dipendenti comunali e, per l’altra metà, dipendenti di cooperative, con le stesse mansioni dei primi ma con trattamenti normativi e salariali abissalmente diversi: basti dire che gli operatori delle cooperative sono inquadrati con contratti a tempo indeterminato del tipo part time ciclico verticale, dicitura complicata che, in sintesi, vuol dire che alle lavoratrici ed ai lavoratori vengono retribuite esclusivamente le ore di lavoro effettuate, il che comporta che non vengono pagati quando la scuola chiude, sia per i periodi ordinari di vacanza (estate, Natale, Pasqua, ecc.), sia quando si verificano eventi straordinari, come le chiusure per neve o emergenza maltempo. Essendo, però, formalmente in possesso di un contratto a tempo indeterminato, questi lavoratori, nei periodi di sospensione del lavoro e della retribuzione, non possono accedere agli ammortizzatori sociali. Contro queste condizioni intollerabili, da quasi due anni operatrici ed operatori si sono organizzati in un comitato che ha prodotto diverse iniziative, fra le quali una Delibera di Iniziativa Popolare per riportare il servizio alla gestione diretta del Comune. Prima delle elezioni comunali del 2016, gli esponenti del Movimento 5 Stelle si dichiaravano fieramente contrari alla privatizzazione dei servizi pubblici, compresa l’assistenza scolastica per i bambini disabili. Come spesso avviene, una volta stravinte le elezioni, gli impegni e le promesse precedenti hanno subito un robusto annacquamento.
Anziché procedere ad internalizzare un servizio che, nel frattempo, era enormemente cresciuto, arrivando ad impiegare circa 3.000 operatori, l’Amministrazione a guida Raggi ha imboccato la strada delle gare d’appalto, esattamente come quelle che l’avevano preceduta, da Rutelli a Marino, passando per Veltroni e Alemanno. Con una differenza: mentre prima ogni singolo Municipio procedeva a promuovere il bando per gestire il servizio nel proprio territorio, con l’avvento dei pentastellati si è deciso di centralizzare l’appalto, bandendo una gara per una maxicommessa da circa 50 milioni di euro annui per tre anni, toccando così la ragguardevole cifra di oltre 150 milioni.
La procedura di gara è andata avanti, nonostante l’opposizione dei sindacati e del Forum del Terzo Settore, che ne contestavano praticamente ogni aspetto, fino alla promulgazione del bando, dopo innumerevoli rinvii, nell’estate dello scorso anno. Da un resoconto di una riunione della Commissione Scuola del Comune di Roma, tenutasi il 4 giugno del 2019, si apprende che i sindacati CGIL e CISL avevano invitato l’Amministrazione a tenere conto, nella determinazione dei costi del servizio, dell’avvenuto rinnovo del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali, che aveva portato ad un (lieve) aumento del costo del lavoro. Questo elemento è importante per comprendere quello che avverrà in seguito.
Una prima stranezza di quella gara d’appalto consiste nel fatto che tutte le cooperative partecipanti erano sicure di vincere, poiché si presentarono trenta aziende (anche consorziate fra loro), lo stesso numero dei lotti messi a gara. Nonostante questa singolare “garanzia”, una decina delle cooperative partecipanti propose un ricorso al T.A.R. del Lazio, contestando vari punti del bando, fra cui proprio la determinazione dei costi, ampiamente sottostimata, nonostante l’Amministrazione fosse perfettamente al corrente dell’aumento dei costi derivanti dal rinnovo contrattuale.
La sentenza del T.A.R. arriva a metà dello scorso aprile, accogliendo il ricorso delle cooperative proprio nella parte in cui sosteneva l’inadeguatezza dei costi stimata nel bando comunale. Nei fatti, quella sentenza costituiva uno stop praticamente definitivo per il bando, essendo impossibile, per l’Amministrazione, sanare tutto procedendo ad una semplice rideterminazione dei costi, perché questo avrebbe comportato conseguenze, anche serie, sia sul piano giuridico che su quello politico. Infatti, l’Amministrazione ha proceduto immediatamente a prorogare per un altro anno gli appalti già in essere, che, altrimenti, sarebbero scaduti, gettando scuole e famiglie dei disabili nel caos. Per la verità, non di caos si sarebbe trattato, ma di opportunità.
Dal dicembre 2019, dopo uno sciopero che aveva coinvolto moltissimi lavoratori, era attivo un tavolo tecnico per l’internalizzazione del servizio di assistenza scolastica, con la partecipazione degli Assessori De Santis e Mammì per Roma Capitale e una delegazione del Comitato Romano AEC. Gli esponenti di Roma Capitale si erano espressi apertamente in favore dell’internalizzazione del servizio e degli operatori, per cui il lavoro del tavolo tecnico era tutto in quella direzione. L’esplosione della pandemia aveva causato anche la sospensione dei lavori del “tavolo”, che avrebbe dovuto affrontare anche la fase di transizione dal sistema degli appalti alle cooperative alla gestione diretta da parte del Comune. Il maxi bando rappresentava, evidentemente, un ostacolo sulla via dell’internalizzazione, perché non sarebbe stato facile procedere su quella via nello stesso momento in cui il Comune impegnava più di 150 milioni di euro per continuare a far lavorare le cooperative. In questo senso, quindi, la sentenza del T.A.R. rappresentava un grosso assist per l’Amministrazione, in quanto toglieva di mezzo quell’ostacolo. La proroga accordata agli appalti già in essere, inoltre, garantiva la continuità del servizio, consentendo una transizione programmata e ordinata verso il nuovo sistema di gestione. Invece, lo scorso 3 giugno è stato notificato ai legali delle cooperative un ricorso al Consiglio di Stato proposto dall’Amministrazione contro la sentenza del T.A.R.
Aldilà dei tecnicismi giuridici, appare evidente la contraddizione di una Giunta che, da un lato, si dice orientata verso la ri-pubblicizzazione del servizio e, dall’altro, si ostina nel perseguire la realizzazione del più grande appalto di servizi sociali ai privati che la storia del Comune di Roma ricordi. In sostanza, quello che si stanno chiedendo gli operatori del settore è quanto sia affidabile un’Amministrazione che afferma di perseguire un obiettivo e, contemporaneamente, insiste nel voler impegnare un’enorme quantità di risorse per continuare a percorrere la strada opposta.
Non è dato sapere come andrà a finire questa storia. La sentenza del Consiglio di Stato difficilmente arriverà prima dell’autunno e, se dovesse accogliere il ricorso di Roma Capitale, l’impegno espresso in favore dell’internalizzazione del servizio si rivelerebbe una vuota fanfaluca. Al contrario, se venisse confermata la sentenza del T.A.R., non esisterebbero più argomenti per non chiudere la stagione delle esternalizzazioni e rinviare l’avvio di un rapido processo di presa in carico del servizio da parte dell’ente pubblico. Quello che oggi appare certo è il perdurante stato di incertezza in cui si trovano lavoratrici e lavoratori e, quindi, il servizio stesso, mentre l’Amministrazione a 5 stelle appare inaffidabile e indecisa a tutto. Sulla ripresa delle attività scolastiche a settembre, nella Capitale si addensano molte nubi.