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Quando Robert Louis Stevenson faceva lo xilografo. Le edizioni Davos Press

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Gli Stevenson, Robert Louis la moglie Fanny con il figlio avuto dal precedente marito, Samuel Lloyd Osbourne, giungono a Davos-Platz il 18 di ottobre del 1881. A Davos, dove trovano rifugio artisti, intellettuali e una folla d’agiati signori provenienti da ogni angolo d’Europa, l’orizzonte è un monotono cielo grigio intervallato da picchi nevosi. Lloyd, dodicenne, accompagna il fragile scrittore tubercolotico, nel soggiorno curativo lontano dall’umida Scozia. Robert Louis, che vive quella trasferta come una reclusione, ancora non ha elaborato i suoi romanzi più celebri, ma attraverso estenuanti esercizi di stile, affinato un talento linguistico con pochi eguali. Louis − come preferisce farsi chiamare, l’inflessione francese, udita durante i soggiorni infantili nella Francia meridionale, lo fa sentire vicino all’amato poeta e brigante François Villon − era un artista, desideroso di sperimentare.

Seppure supportato economicamente dal padre, ingegnere e costruttore di fari – di lui si può leggere in I fari degli Stevenson, Milano, Nuages, 2005 −, Robert Louis non se la passa bene per gli standard borghesi dell’epoca. Lloyd ha per lui una devozione e un amore sviscerati. I giochi sulla neve e le tediose lezioni di tedesco, impartitegli con un coltello puntato alla gola da un vecchio ufficiale prussiano, in età matura Lloyd ricorderà queste cose non senza ironia, gli lasciano tempo per impratichirsi con una pressa tipografica. Un piccolo Modello Boston, a metà strada tra un giocattolo e uno strumento professionale, in grado però di garantire una stampa più che dignitosa. Risoluto decide che sarebbe stata la tipografia a rendere meno povera la sua famiglia.

All’Hotel Belvedere, dove l’inverno precedente avevano risieduto, servono programmi per il concerto del sabato: Osbourne riceve molte commesse e si dedica a produrre inviti, annunci, carte intestate, biglietti per le frequenti lotterie. Ormai pratico del mestiere, raccoglie le poche matrici xilografiche possedute e, attorno ad esse, costruisce un racconto avventuroso illustrato: Black Kenyon or Life in the West. La simpatia e l’intraprendenza del giovane imprenditore contribuiscono alla vendita, per il modico prezzo di 6 pence, dell’intera tiratura.

Tutto rimarrebbe nell’assoluto anonimato se un formidabile scrittore con affettuosa umiltà non bussasse negli uffici della Osbourne and Co, al secondo piano dello chalet Villa am Stein, con in mano un manoscritto intitolato Not I and Other Poems. Ancora le 50 copie sotto la marca della Davos Press sono subito vendute. Con orgoglio Osbourne paga al patrigno i diritti acquisiti pari a 3 franchi. Stevenson sottolineerà, non senza autoironia, che quello era sino ad allora il suo maggiore successo letterario.

L’ambizione di Lloyd cresce e un nuovo libro è messo in cantiere: senza illustrazioni però non è un libro finito. Louis, costretto al riposo dalla tisi, s’era fatto le ossa di disegnatore sulle figurine che animavano i teatrini di carta, non ci voleva nulla per lui a incidere qualche xilografia. Non disponendo d’altro, con coltellino da tasca – solo in seguito si procura sgorbie e bulini – e sottile compensato, intaglia una graziosa figura da abbinare alla poesia Reader, Your Soul Upraise to See. Scriverà egli stesso in una lettera alla madre, pubblicata su The Life of Robert Louis Stevenson edito da Methuen nel 1901: «l’incisione su legno s’era improvvisamente fatta strada tra me ed il sole. Io adoro la xilografia». Gilbert Keith Chesterton nella sua biografia dello scrittore scozzese ci fa notare quanto la contrastata e chiaroscurale scrittura di Stevenson, la cui bellezza sta nell’economia, sia, d’altronde, profondamente xilografica. Stevenson dopo un pomeriggio passato chino sul tavolino, tenendo a bada l’eccitazione del suo datore di lavoro, mostra con fierezza a moglie e figlio, increduli, il risultato del suo impegno. La stampa si rivela complicata. Tutta la famiglia, partecipa alla riuscita dell’impresa e di Fanny è l’idea di utilizzare le cartine da sigaretta come spessore per portare a perfetta altezza tipografica il quadratino di compensato. Il suo contributo non si fermerà lì, inciderà un elefante per ornare See in the Print How, Moved by Whim.

Poiché la superficie irregolare del compensato non garantisce gli standard pretesi, un artigiano male in arnese – colpito, con l’intera famiglia, da croniche bronchiti causate dall’insalubrità dell’aria, più volte sottolineata da Lloyd, malgrado la località godesse di fama opposta −, scultore specializzato in orsetti souvenir, pialla alcune matrici lignee che rendono ora più agevole la stampa. Nelle tavole che illustreranno le due raccolte − Moral Emblems: a Collection of Cuts and Verses e Moral Emblems: a Second Collection of Cuts and Verses − possiamo trovare il mondo immaginifico del futuro Tusitala: pirati, pistoleri, marinai, vascelli, animano spiagge tropicali e brulli paesaggi. Le incisioni spesso superano per freschezza compositiva i testi che illustrano. Parallelamente alle raccolte, Lloyd stampa specimen pubblicitari arricchiti delle xilografie.

Nel 1896, le xilografie saranno pubblicate sulla rivista d’arte inglese The Studio: le incisioni di Stevenson, che si rifanno non senza originalità, si badi bene, all’illustrazione popolare sono di una modernità talvolta davvero stupefacente. Lo scrittore è anche citato in Rodney K Engen, Dictionary of Victorian Wood Engraver, Trowbridge, Chadwyck-Healey, 1985 (p. 248).

Finì l’inverno, gli Stevenson lasciarono Davos e la casa editrice, salvo una accaso sporadico alcuni anni dopo, interruppe bruscamente la sua attività.

Moral Emblems & Other Poems written and illustrated with woodcuts by Robert Louis Stevenson first printed at the Davos Press by Lloyd Osbourne and with a preface of the same propone, nella edizione di Chatto & Windus a Londra e New York nel 1921, a un più vasto pubblico quanto prodotto dalla Davos Press quaranta anni prima, avendo anche un discreto successo commerciale se si valuta che nello stesso mese di pubblicazione uscì una seconda ristampa.

Ignorato in Italia, non esiste una sua traduzione integrale.

L’edizione degli Emblems è introdotta, come recita il frontespizio, dal testo di Lloyd Osbourne. La commossa e divertita prefazione, che possiamo leggere tradotta in italiano dall’editore milanese Henry Beyle (Un giovane tipografo per Robert Louis Stevenson, 2013), ci mostra uno Stevenson diverso e ci racconta di un’iniziativa «che a suo tempo aveva dato modo di sorridere a persone purtroppo in cerca di un motivo per farlo».


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