«Stop the deliberate targeting of journalists». Basta mettere deliberatamente nel mirino i giornalisti. La Federazione internazionale del giornalisti (Ifj) scende in campo dopo le ripetute violenze ai danni degli operatori dei media in servizio per documentare le proteste che stanno sconvolgendo gli Stati Uniti a seguito della morte di George Floyd. Dozzine gli attacchi ai giornalisti registrati in quattro giorni di manifestazioni, molti dei quali ad opera delle forze dell’ordine incaricate di contenere le proteste. Due reporter hanno perso un occhio. Reporter, operatori, fotografi, benché chiaramente identificabili, sono stati colpiti, arrestati (quello delle manette scattate in diretta a Minneapolis ai polsi di Omar Jimenez della Cnn, venerdì 29 maggio, è stato solo il primo caso), perquisiti, colpiti con spray urticante o gas lacrimogeni. L’elenco è riportato sul sito web del sindacato mondiale dei giornalisti. «I filmati degli incidenti – denuncia la Ifj – mostrano che la polizia ha deliberatamente preso di mira gli operatori dei media. I giornalisti, chiaramente identificabili, sono stati colpiti mentre stavano svolgendo il loro lavoro». Gli episodi si sono ripetuti in diverse città degli States: New York, Chicago, Washington DC, Minneapolis, Pittsburgh, Los Angeles, Filadelfia, San Diego, Detroit, Denver. Giornalisti finiti anche nel mirino dei manifestanti. A Washington, una troupe è stata costretta a fuggire dopo che la folla ha scoperto la rete per cui lavorava. Ad Atlanta, il quartier generale della Cnn è stato oggetto di attacchi fisici da parte di un gruppo di persone. «Dal presidente alle forze dell’ordine, è tempo di fermare il “tiro” al giornalista. Fomentare l’odio nei confronti dei media ha delle conseguenze e ora ne stiamo vedendo i risultati: spari contro i giornalisti, reporter feriti, costretti a fuggire, arrestati, picchiati», dichiara Anthony Bellanger, segretario generale della Ifj. «Le forze dell’ordine, nel disperato tentativo di evitare il legittimo controllo da parte dei media sul loro operato, hanno fatto ricorso a minacce e messo nel mirino il “messaggero”. Questa guerra alla libertà di informazione e ai diritti dei giornalisti – aggiunge Bellanger – deve finire. Chi prende di mira e attacca i giornalisti deve risponderne».