«Da questa Piazza di Torino (Piazza Castello, ndr) chiedo a tutti voi di lottare. Chiedo di farlo perché io lo faccio. Perché purtroppo devo farlo, tutti i giorni. Devo lottare perché non ho alternative. Perché non ho scelta. Vi assicuro che non è facile non poter scegliere».
Queste, le prime parole che la scrittrice e attivista per i diritti umani Esperance Hakuzwimana Ripanti ha rivolto ai numerosi (oltre duemila) partecipanti vestiti di nero e distanti l’uno dall’altra (nel rispetto previsto delle regole imposte per contrastare il contagio da Covid-19) seduti a terra nel «bel salotto» torinese.
Giovani, adulti e bambini si erano dati appuntamento sabato pomeriggio alle 15 per lottare contro ogni forma di razzismo e per rendere omaggio a George Floyd.
Un intervento tra i tanti importante quello di Ripanti.
Quasi uno sfogo di dolore uscito dopo gli otto lunghissimi e interminabili minuti di silenzio che i partecipanti hanno dedicato a Floyd; alle sofferenze patite negli otto minuti di lento e inesorabile soffocamento sotto il peso delle ginocchia della polizia statunitense.
Immagini strazianti, quelle dell’uomo costretto a terra, che hanno fatto il giro del mondo e attraversare un’ombra di dolore anche nella soleggiata piazza torinese.
Immagini, unite al ricordo delle parole di Floyd mentre supplica i suoi carnefici di farlo almeno respirare, che erano negli occhi e nelle memoria di tutti.
Immagini che hanno indotto i movimenti per i diritti civili del mondo a indire iniziative di solidarietà tese a contrastare ogni forma di razzismo e ogni forma di supremazia umana su quella di altri esseri umani.
Ripanti l’ha ricordato molto bene ai presenti, proprio come aveva fatto l’anno scorso dando alla luce un libro importante messo poi nelle mani di Giuseppe Civati (ex politico da sempre attento e impegnato su temi sociali, sensibile ai diritti umani e all’ambiente) e oggi editore dell’editrice People.
Un volume dal titolo significativo «E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana» ispirato, come ha ricordato la stessa autrice da una lettera scritta allora, quand’era una giovane pubblicista impegnata per la difesa sei diritti umani e poi resa pubblica attraverso il suo programma radiofonico sulle frequenze di Radio Beckwith di Luserna San Giovanni (To) e poi sviscerata con numerosi articoli pubblicati sul quotidiano online delle chiese battiste, metodiste e valdesi Riforma.it.
Una lettera che Ripanti scrisse nel febbraio 2018 in risposta all’attentato rivolto contro sei persone «colpite dal fuoco dell’odio solo per il colore della loro pelle».
Parole lette sabato a una piazza gremita.
«Ciao, se ti scrivo è perché mi sento in pericolo. E se mi sento in pericolo è perché sono più che convinta che così si sentano tutte le persone che mi stanno accanto, che mi assomigliano, che mi ispirano. Ed è per questo motivo, che ti chiedo un favore, una piccola cosa che può stare sul palmo della tua mano: raccontare questa mia paura. Raccontare questa mia rabbia perché c’è una narrazione sbagliata e carica d’odio che sta iniziando a rendere difficile la vita di chi, come me, in questo pese è nato, è cresciuto e vorrebbe considerarlo proprio, perché è il suo. Perché chi non ha gli strumenti per comprendere e per capire tutto questo, sta insinuando l’idea che l’origine o il colore di un corpo siano molto più importanti della sua dignità e della sua vita. E questo non è giusto. È terrificante e soprattutto non è una realtà con la quale sono disposta a convivere. Vi chiedo solo questo, raccontate questa mia paura, raccontate questa mia rabbia e trasformatela in forza. Facciamo folla, facciamo luce».
Parole importanti, parole che dobbiamo fare nostre.
Grazie Esperance.