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Il Messaggero tra ultimàtum e lavoro povero

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Sembra letteralmente un atto di guerra. A cui occorre rispondere con una resistenza civile: in modo pacifico, pacato, costruttivo e risoluto nonostante rabbia, frustrazione e senso di ingiustizia montino in tutta Italia per quanto riguarda le condizioni dei giornalisti collaboratori, ossia professionisti formalmente non dipendenti degli editori ma di fatto autori della stragrande maggioranza del contenuto informativo delle testate su carta, web e in video.

Scade questa sera, venerdì 19 giugno 2020, l’ultimàtum ricevuto dai collaboratori de Il Messaggero che devono – secondo l’azienda – accettare senza aprire fiato la riduzione dei compensi per i pezzi: “al fine di proseguire la collaborazione giornalistica con la nostra testata – recita la missiva arrivata ai colleghi il 15 giugno – è necessario che lei rilasci il suo consenso all’applicazione dei nuovi tariffari”.

Più che una trattativa, prevista per legge, quello dell’azienda è un ultimatum nei confronti dei giornalisti meno tutelati che, tuttavia, sono fondamentali per confezionare il giornale a tutti i livelli, dalle pagine territoriali a quelle dell’edizione nazionale. Chi vi scrive, rifiuta la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti tra Stati come recita uno degli articoli più belli e inapplicati della Costituzione Italiana.

Ma capiamoci sui termini. In diritto internazionale, l’ultimatum è un atto giuridico unilaterale e ce ne sono di due tipi: ultimatum semplice e ultimatum qualificato. E’ “semplice” se non contiene indicazioni circa le misure cui lo stato intende ricorrere in caso di risposta non soddisfacente; oppure è un ultimàtum qualificato, secondo la Treccani, se contiene l’avvertimento che, non pervenendo una risposta soddisfacente entro un termine fissato, lo stato inviante si considera in guerra con lo stato destinatario a decorrere dal termine stesso.
Qui ovviamente non parliamo di stati sovrani, ma di giornalisti che se non accetteranno entro stasera la riduzione delle tariffe saranno fuori. Stiamo parlando di colleghi che hanno tutte le caratteristiche dei “working poor”, ossia di una classe lavoratrice povera messa di fronte a un aut-aut irricevibile.

I tempi e soprattutto i modi con cui l’editore vuole fare “cassa” sugli ultimi della fila sono da rispedire al mittente.
Ma questo non basterà a fermare la deriva di cui l’ultimatum de Il Messaggero è solo l’ultimo segnale.

I giornalisti non dipendenti di tutte le testate italiane lavorano in condizioni precarie, senza diritti e tutele (ferie, permessi, 13esima, Tfr, etc. etc.) senza lo strumento dell’Equo compenso giornalisti (legge 233/2012). In balìa di capi del personale che procedono con tagli lineari e senza discussioni che colpiscono l’anello debole della filiera, i collaboratori. Tutto questo non è scritto nella pietra. E’ ora il momento di dire “basta”, di crescere come collettività nel sindacato giornalisti attraverso procedure di rappresentanza interna, processi democratici di rivendicazioni minime e vertenze. Vertenze collettive, e individuali. Siamo vittime di uno schema preciso e intelleggibile. La nostra controparte (gli editori) è consapevole del fatto che siamo sfilacciati, senza una rappresentanza codificata (ma con la possibilità di farsi rappresentare dal sindacato giornalisti in base allo Statuto dei Lavoratori) e parte di un teorico “esercito di riserva” che gli albi professionali dei giornalisti, ingrassati a dismisura e contro ogni logica, forniscono alle aziende.
Siamo dentro fino al collo nella trappola dalla destrutturazione e parcellizzazione del lavoro. Ma non possiamo abdicare. In ballo c’è la nostra dignità di giornalisti, di donne e uomini. Dobbiamo reagire per noi stessi e per chi, in questo Paese, per vivere deve lavorare.
Fanno accapponare la pelle gli editori che non concedono un centesimo di sconto ai propri collaboratori per leggere quel risultato della professionalità collettiva della redazione – che in questo senso s’intende dal direttore ai collaboratori. Fa rabbia leggere sulle colonne dei giornali le storie di rider, precari di vario genere, finte partite Iva di tutti i settori tranne del settore dell’informazione. Dobbiamo rivendicare la nostra esistenza e la nostra importanza: il sindacato giornalisti è al fianco di quei colleghi che non cederanno al ricatto delle aziende. Non cediamo alla guerra tra poveri a cui ci vogliono portare.

PS
questa la “proposta” di riduzione dei compensi per Il Messaggero:

Edizione cartacea – Cronache locali

Pezzi sotto le 900 battute non saranno pagati. Dalle 900 battute alle 2.500 euro 7,00. Dalle 2.500 battute alle 3.500, euro 15,00. Oltre le 3.500 battute euro 20,00. Tutte le cifre sono lorde.

 

I tariffari dell’Edizione cartacea Nazionale e dell’edizione internet restano confermati

Edizione cartacea – Cronache Nazionale

Pezzi sotto le 900 battute non saranno pagati. Dalle 900 battute alle 2.500 euro 13,00. Dalle 2.500 battute alle 3.500, euro 26,00. Oltre le 3.500 battute euro 39,00. Tutte le cifre sono lorde.

 

Edizione internet

Articoli euro 7,00; articoli con video e/o fotogallery euro 9,00.

PPS
Da quanto emerge, i collaboratori hanno una “capienza limitata” di tot articoli al mese. Poniamo che al 15 del mese il collaboratore abbia già scritto il limite massimo di articoli previsti dal budget, gli altri articoli non saranno retribuiti. Se questo è lavoro…


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