Giulio Giorello ci ha lasciato. Nel giro di pochi mesi sono scomparsi tre straordinari maestri del pensiero: dapprima Remo Bodei, poi Aldo Masullo e ora, inaspettatamente, Giulio. Li ricordiamo perché appartenevano a quella generazione di intellettuali per i quali scienza, filosofia etica e politica erano campi intrinsecamente connessi:nello studio, nell’insegnamento e nell’impegno civile.
Negli ultimi cinque anni Articolo 21 ha potuto contare sulla loro convinta e attiva partecipazione ai concorsisull’educazione ai media che hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di studenti di tutte le regioni italiane.
Vi hanno preso parte non solo come membri della giuria ma anche come ospiti di appassionate assemblee studentesche dedicate alla rilettura della Costituzione.
Giulio denunciava le recinzioni di filo spinato volte aimpedire l’ingresso ai rifugiati allo stesso modo in cui si batteva contro gli steccati ideologici: non faceva distinzione tra il muro che Trump sta costruendo al confine del Messico e i muri eretti dall’assolutismo scientista. Quando spiegava Darwin ai suoi studenti metteva in guardia dal darwinismo sociale, tipico del neoliberismo che, oltre ad accentuare l’individualismo e la lotta per la sopravvivenza, alimenta il razzismo e lo spirito di sopraffazione verso i più deboli. Giulio era contro ogni forma di dogmatismo. Non credente, polemizzava con gli “atei di professione”; da filosofo della scienza contrastavala fiducia incondizionata nella scienza e ancor più l’idea che solo con la tecnica si possano finalmente soddisfare i bisogni dell’uomo, a prescindere da chi ne detiene le leve di comando e dall’uso che ne fa.
Definiva il suo ateismo metodologico “un repertorio di strumenti, intellettuali e pratici, che riguardano il nostro modo di indagare l’universo e di scegliere il nostro destino”: un approccio laico alla scienza in cui il dialogo, il confronto e il desiderio di conoscere assumono un’importanza pari a quella degli assiomi e dei paradigmi.
Dialoga di fede e ragione con il Cardinale Martini, interpreta in chiave darwiniana l’Ulisse di Joyce e si avventura in un’operazione in stile situazionista: trasformaTopolino, il personaggio di Disney tutto legge e ordine, amico del commissario Basettoni, in un topo dubitante, anticonformista e avventuriero che Cartesio, nonostante amasse i gatti, avrebbe certamente apprezzato per i suoi dubbi esistenziali.
“Giudichino dunque lettrici e lettori cosa sia la filosofia di Topolino: non tanto un’architettura d’idee simile a quella di filosofi come Kant o Hegel quanto il piacere della scorribanda intellettuale e il desiderio di esperienze sempre nuove, in una sorta di divertente “fenomenologia dello spirito”. Cartesio era sempre così incerto sulla distinzione tra sogni e realtà, anche Topolino saprà infine scivolare nel sonno chiudendo la sua ennesima avventura con un: ‘Ho detto sì, voglio sì’ rivolto alla vita in tutte le sue forme”.
Caro Giulio, la tua intelligenza e la tua irriverenza ci mancheranno, molto.