ROMA – Senza detenuti per l’articolo 73 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti o quelli dichiarati tossicodipendenti “non vi sarebbe il problema del sovraffollamento carcerario”. Parola dell’undicesimo Libro bianco sulle droghe, il rapporto indipendente presentato oggi e promosso da La Società della Ragione insieme a Forum Droghe, Antigone, Cgil, Cnca, Associazione Luca Coscioni, Arci, Lila e Legacoopsociali con l’adesione di A Buon Diritto, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itardd e Itanpud. Secondo il rapporto, “i devastanti effetti penali del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli (l’art. 73 in particolare) non possono essere più considerati effetti collaterali”, quanto piuttosto “come effetti evidentemente voluti”. Per gli autori del rapporto, infatti, la legge sulle droghe “continua a essere il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri”.
I dati raccolti nel rapporto fanno riferimento al 2019 e puntualmente arrivano prima della Relazione al parlamento sulle droghe che dovrebbe essere consegnata ogni anno entro fine giugno. Secondo il libro bianco, 13.677 dei 46.201 ingressi in carcere nel 2019 sono stati causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. “Si tratta del 29,60% degli ingressi in carcere – spiega il dossier -: si consolida l’inversione del trend discendente attivo dal 2012 a seguito della sentenza Torreggiani della Cedu e dall’adozione di politiche deflattive della popolazione detenuta”. Sugli oltre 60 mila detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2019, inoltre, “ben 14.475 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo unico (sostanzialmente per detenzione a fini di spaccio, 23,82%). Altri 5.709 in associazione con l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, 9,39%), solo 963 esclusivamente per l’art. 74 (1,58%). Questi ultimi rimangono sostanzialmente stabili. Nel complesso vi è una impercettibile diminuzione dello 0,67%”.
Ai livelli più alti degli ultimi 15 anni, invece, la presenza di detenuti definiti “tossicodipendenti”: “sono 16.934, il 27,87% del totale – spiega il rapporto -. Questa presenza, che resta maggiore anche rispetto al picco post applicazione della Fini-Giovanardi (27,57% nel 2007), è alimentata dal continuo ingresso in carcere di persone tossicodipendenti. Nel 2019 questi sono stati il 36,45% degli ingressi nel circuito penitenziario, in aumento costante e preoccupante da 4 anni”. Tuttavia, non è solo il carcere a risentire degli effetti del Testo unico. “Le persone coinvolte in procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 e 74 sono rispettivamente 175.788 e 42.067 – si legge nel rapporto -. È un dato che, pur in leggera diminuzione, si allinea agli anni bui della Fini-Giovanardi”. In aumento le misure alternative. “Fatto positivo in sé – spiega il rapporto -, ma che nasconde anche una tendenza che fa pensare che siano diventate una alternativa alla libertà invece che alla detenzione. Consentendo così di ampliare l’area del controllo”.
In aumento anche il numero delle persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite: sono 41.744 nel 2019. “Le segnalazioni sono quasi 44 mila, +6,67% – aggiunge il rapporto -. Più di 4 mila sono minorenni”. In diminuzione le sanzioni, che nel 2019 superano di poco quota 14 mila. “Queste vengono comminate in un terzo dei casi mentre risulta irrilevante la vocazione terapeutica della segnalazione al Prefetto – spiega al rapporto -: solo 202 sono state sollecitate a presentare un programma di trattamento socio-sanitario; nel 2007 erano 3.008”. La repressione, spiega il rapporto, colpisce principalmente persone che usano cannabis (77,95%), seguono a distanza cocaina (15,63%) e eroina (4,62%) e, in maniera irrilevante, le altre sostanze. “Dal 1990 1.312.180 persone sono state segnalate per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale; di queste quasi un milione (73,28%) per derivati della cannabis”.
Anche quest’anno, inoltre, il rapporto indaga sulle violazioni del codice della strada, ovvero per guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. “I dati disponibili sono piuttosto disomogenei – ammette il rapporto -, per cui di difficile interpretazione, come confermato dalla stessa Istat. Nel corso dei controlli nelle notti dei week end da parte dei carabinieri le violazioni accertate rappresentano lo 0,27% dei controllati. Rispetto alle positività accertate a seguito di incidente questa percentuale sale, al 3,20% nel corso dei primi 10 mesi del 2019. Ricordando che spesso la positività al test non è prova di guida in stato alterato (in particolare per la cannabis), possiamo affermare che l’uso di droghe non è certamente la causa principale di incidenti in Italia”.
Le conclusioni del rapporto sono affidate a Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, che torna ad immaginare una Conferenza nazionale sulle droghe dal basso. Convocata per il 28 e 29 febbraio 2020 a Milano e autoconvocata dal mondo delle associazioni, delle comunità terapeutiche e dei sindacati, la Conferenza è stata rinviata a data da destinarsi. Così, con la nuova edizione del Libro bianco sulle droghe, Gonnella ne immagina una in autunno per riproporre al governo e al Parlamento i temi affrontati anche nel rapporto. “Una Conferenza dopo la pandemia – scrive Gonnella -, dopo l’esperienza su scala globale di lockdown, ha un valore enorme, in quanto il confinamento ha messo a nudo i problemi autentici, individuali e comunitari. Si tratta ora solo di prenderne coscienza e rimettere al centro tre parole chiave, massacrate dalle politiche sovraniste e identitarie, che sono libertà, dignità e solidarietà”.