«L’avvicendamento tra due coalizioni di governo, nonostante alcuni iniziali e promettenti annunci, non ha prodotto una significativa discontinuità nelle politiche sui diritti umani in Italia, in particolare quelle relative a migranti, richiedenti asilo e rifugiati». A parlare così è Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, durante la presentazione con i giornalisti del Rapporto 2019-2020 dell’organizzazione, che si è tenuta lo scorso 4 giugno sulla piattaforma Google meet. L’incontro, che è stato moderato dalla giornalista dell’agenzia Dire Alessandra Fabbretti, ha visto la partecipazione, oltre allo stesso Noury, di Emanuele Russo, presidente di Amnesty International Italia, e di Gianni Rufini, direttore generale della stessa organizzazione internazionale.
A 31 dai fatti di Piazza Tienanmen
Proprio Fabretti, in apertura, ha ricordato come quest’anno la presentazione del rapporto che fa il punto sulla salute dei diritti umani nel mondo, significativamente, ricade nel 31esimo anniversario della repressione di Piazza Tienanmen e più o meno nel primo anniversario della rivolta e della conseguente deposizione, in Sudan, del dittatore Omar Al-Bashir, dopo 30 anni di potere assoluto. Ed è tra attivismo e repressione che si è snodato, per quanto ha riguardato la situazione dei diritti umani del mondo, l’anno prima della grande pandemia. Infatti, «nel 2019 milioni e milioni di persone, per lo più giovani, sono scese in strada per chiedere diritti, giustizia, libertà, dignità, rispetto per l’ambiente, fine della corruzione e delle disuguaglianze», ha ricordato Riccardo Noury: «Dal Cile all’Iran, da Hong Kong all’Iraq, dall’Egitto all’Ecuador, dal Sudan al Libano, hanno sfidato e subito una repressione molto forte. I governi hanno sparato ai loro cittadini».
L’Europa unita nell’intolleranza
E poi ha aggiunto: «In Europa, invece, abbiamo assistito a un vero e proprio cambiamento di valori. Soprattutto rispetto a quelle politiche in materia di immigrazione che hanno considerato la protezione delle frontiere più importante della protezione delle vite umane». Ma non soltanto. I segnali di questa percezione – a leggere il rapporto di Amnesty International – «li ritroviamo riferiti a come sono gestiti in alcuni stati il dissenso popolare e le proteste pubbliche», si legge: «che ha spesso comportato abusi da parte delle agenzie di sicurezza». E poi, sotto la lente della organizzazione sono finite, in particolare: «L’intolleranza verso le minoranze religiose ed etniche ha spesso assunto la forma di violenza e discriminazione». E qui sono alcuni paesi dell’Europa orientale, in particolare, a fare la parte dei padroni nella repressione dei diritti civili e sociali.
«In Polonia, ad esempio, dove l’indipendenza del sistema giudiziario, componente essenziale dello stato di diritto, è finita sotto attacco quando il partito di governo ha adottato misure sempre più ardite per controllare giudici e tribunali». Oppure in Ungheria, uno dei paesi europei dove negli ultimi anni si sono meglio adottate le politiche del controllo delle frontiere e dell’immigrazione. E, sempre a gennaio del 2019, in Polonia, il sindaco di Gdansk, Pawel Adamowicz, un sostenitore dei diritti delle persone Lgbti e dei migranti, è stato ucciso a coltellate durante un evento di beneficienza. E, sulla sponda occidentale, a giugno, Walter Lübcke, presidente del consiglio locale della città tedesca di Kassel, è stato ucciso con un colpo di pistola alla testa per il suo sostegno alle politiche di accoglienza dei rifugiati. Ma in tutta Europa sono continuati gli attacchi e gli episodi di discriminazione istituzionale contro gli stranieri. Contro le comunità rom, specialmente.
In Bulgaria, i rom di Vojvodinovo e Gabrovo hanno subìto sgomberi forzati e le loro case sono state demolite. Incendiate. «Dalle autorità locali e dalla folla». Ma anche in Italia è accaduto. A Napoli: «le autorità di Giugliano, in Italia, hanno sgomberato una comunità di circa 450 rom, comprese famiglie con bambini, senza offrire loro una sistemazione alternativa», si legge ancora nella pubblicazione che è edita da Infinito Edizioni.
Libere di scegliere
Repressione, dunque, ma anche attivismo. Tanto. Come quello sul fronte dei diritti delle donne, che ha registrato una sentenza che sa di conquista civile da parte dell’Alta corte di Belfast. Così: «l’aborto in Irlanda del Nord è stato finalmente depenalizzato e tutti i procedimenti giudiziari pendenti sono stati automaticamente annullati». E pure in Spagna, dove le dilaganti proteste suscitate in reazione alle sentenze di assoluzione emesse da alcuni giudici, nel caso noto come il “Branco” hanno portato il governo ad annunciare che: «la definizione giuridica di stupro sarebbe stata emendata, al fine di chiarire che il sesso senza consenso corrisponde a stupro».
La situazione in Italia
Con riferimento all’Italia – si diceva all’inizio – nelle 200 e passa pagine del rapporto; dicono i ricercatori di Amnesty, inoltre, che: «Il governo ha continuato a perseguire un’agenda politica di contrasto all’immigrazione, attraverso leggi e misure aventi l’obiettivo di limitare l’esercizio dei diritti e impedire alle persone soccorse in mare di sbarcare in Italia». Accuse pesanti, quelle dell’organizzazione, che tuttavia trovano riscontri abbondanti nelle cronache. È il caso di quelle che raccontano della Cooperazione dei governi italiani con la Libia per il controllo dei flussi migratori, delle 9.225 persone che sono state intercettate in mare dalle autorità libiche e quindi riportate in Libia, dove la maggior parte è stata detenuta arbitrariamente in condizioni disumane. E delle autorità italiane, sempre si dice che hanno continuato a fornire supporto alle autorità marittime libiche e che avrebbero, secondo quanto ha denunciato ancora Amnesty International: «donato 10 nuove motovedette a novembre e fornito addestramento agli equipaggi libici». «Per tutto l’anno le navi delle Ong sono state ostacolate da minacce di chiusure dei porti e da ingiustificati ritardi nelle autorizzazioni all’approdo», aggiunge Emanuele Russo, presidente di Amnesty International Italia. Ma ora la speranza, sempre sul lato giudiziario, la nutrono 14 richiedenti asilo eritrei, respinti illegittimamente in Libia dalla marina militare italiana nel 2009, ai quali il tribunale civile di Roma ha riconosciuto di recente la riparazione dal danno e il diritto di entrare in Italia per accedere alle procedure d’asilo. È la stessa attesa che dopo la sconvolgente esperienza della pandemia da Covid-19 cambierà il mondo in modo fondamentale, «ma non sappiamo ancora come». Di certo, così ha concluso Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia: «Dovremo pretendere nuovamente quegli spazi di libertà che sono stati i protagonisti del 2019».