È difficile immaginare due figure più diverse di Ungaretti e Sorrentino, accomunati unicamente da un anniversario: mezzo secolo fa, il primo se ne andava all’età di ottantadue anni e il secondo veniva al mondo. Sono accomunati, dirà qualcuno, anche dal fatto di essere poeti: con la penna il primo, dipingendo la realtà con pochi versi scarni ed efficacissimi, con la cinepresa il secondo, proponendosi come il degno erede di Fellini, per via di uno stile di denuncia in grado di coinvolgere lo spettatore e indurlo a riflettere sulle storture del nostro tempo.
Di Ungaretti rimangono immortali le poesie scritte durante l’esperienza della trincea: composizioni strazianti, descrizioni intime e profonde della Prima guerra mondiale e dei suoi aspetti più autentici, per nulla eroici, per nulla gloriosi, caratterizzati da sentimenti di dolore e disperazione che ci pongono di fronte all’essenza della barbarie. Rimangono le sue descrizioni autobiografiche, ad esempio il riferimento ai quattro fiumi della sua vita, e il suo essere uno dei massimi protagonisti dell’ermetismo. Un intellettuale che non si è mai tirato indietro, nemmeno nel dichiarare le proprie idee politiche, compresa ahinoi l’adesione al fascismo, contribuendo come pochi alla crescita culturale del nostro Paese.
Sorrentino appartiene, invece, a questo tempo avaro di emozioni, ma anziché fermarsi a piangere ha deciso di gridare, a modo suo, da “La grande bellezza” a “Loro”, in un crescendo di descrizioni che non esiterei a definire apocalittiche. Guai, infatti, a pensare che sia un regista leggero: non lo è. Ciò che si vede nei suoi film è tutta la pochezza, la fatuità e la decadenza di una società segnata dall’assenza. E che dire del suo gioiello dedicato alla crisi della Chiesa, “The Young pope”, con la descrizione di un papa giovane e conservatore, l’esatto opposto di Francesco, il quale fonda il proprio potere sulla mancanza, sul nascondersi, in un clima asfissiante di sospetti e trame oscure che si avvicina molto al retroscena di un contesto devastato da troppi appetiti di potere?
Ungaretti, al pari di Sorrentino, è un personaggio destinato a restare. Sono due cantori, ribadiamo diversissimi, di epoche differenti ma caratterizzate, entrambe, dal tormento.
Ungaretti è vissuto, prevalentemente, nell’inferno che è stato la prima metà del Novecento. Sorrentino vive in quest’epoca incerta, in cui le guerre ci sono eccome, anche se non vengono dichiarate, le racconta come nessun altro sa fare e, con il finto distacco che lo contraddistingue, ne denuncia le aberrazioni.
Nella poesia di Ungaretti e nel cinema di Sorrentino c’è una parte di noi, lo specchio di ciò che siamo realmente e un confronto con la cruda verità che è compito dell’intellettuale fare emergere, in contrasto al conformismo dominante e alle verità ufficiali di un potere sempre più fragile.
Mezzo secolo d’arte e bellezza: teniamocele strette perché ne abbiamo, più che mai, bisogno.
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