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Alberto Sordi: cent’anni di malinconica ironia 

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Chi è stato davvero Alberto Sordi? Un genio della comicità, un istrione dal riso amaro, un gigante malinconico, un mito o, più semplicemente, tutte queste cose insieme? Raramente si è visto un talento tanto poliedrico, tanto completo, tanto capace di adattarsi ai tempi e di rimanere se stesso pur incontrando costantemente i gusti del pubblico. Raramente si è assistito a tanta inventiva, a tanta follia, a tanta grandezza, nel racconto dell’italiano medio che era un po’ l’autobiografia della Nazione in forma ironica. Sordi era uno specchio che rifletteva bene il nostro carattere: i nostri pregi, i nostri difetti, i nostri limiti, il nostro essere spesso furbetti e opportunisti ma sicuramente grandi nei momenti difficili. Ed è dura dire quale sia il vero volto degli italiani: quello che si adatta e tira a campare, ritratto ad esempio in “Polvere di stelle” o quello eroico de “La Grande guerra”?
La forza di Sordi è stata quella di essere pienamente l’uno e l’altro: l’italiano che si arrangia e si vende e l’italiano che si oppone alla barbarie. Forse nessuno ha saputo rappresentare meglio di lui lei molteplici sfaccettature del nostro popolo e anche per questo gli abbiamo voluto così bene. Creava appartenenza, ci si identificava in lui, anche quando la sua arte era una sferza che metteva in risalto i nostri aspetti peggiori. Diciamo che è stato un maestro nel castigare ridendo i costumi, ponendoci di fronte a ciò che siamo realmente, senza la spocchia di una certa intellighenzia, la cui passione è quella di mettere sempre in risalto solo i lati negativi dell’Italia, ma anche senza l’indulgenza stucchevole degli esaltatori a prescindere, dei nazionalisti sfrenati, degli sciovinisti incapaci di fare i conti con la realtà.
Sordi è stato, poi, un “romano de Roma”, l’incarnazione stessa della romanità verace: in parte di cuore, in parte cinica, anch’essa sfaccettata, in un trionfo della complessità, della poesia e di quelle atmosfere che solo la Città eterna è in grado di regalare.
Del resto, cosa sarebbe stato Sordi senza Roma? Non avrebbe avuto senso, non sarebbe potuto esistere. Non a caso, nessun’altra città ha avuto un rapporto tanto forte con il proprio simbolo, con il proprio migliore interprete, con la propria icona. Roma è così: intensa, profonda, papalina, un intreccio di poteri, giochi sporchi, vicende oscure ma anche un incontro di anime, di quartieri vivi, di stornelli, di serate trasteverine, di pietanze inimitabili, di vini di qualità, di gite fuori porta, di botticelle, di monumenti, fontane, barocco, antichi ludi e nuovi fasti. Roma è un caleidoscopio e Sordi è stato al centro di questo caleidoscopio, non cercando mai di essere un disegno ma sempre una tessera di un mosaico più grande della sua persona.
Se n’è andato al momento opportuno, risparmiandosi il declino di una città e di un mondo che amava alla follia ed evitandosi la sofferenza di vederlo decadere, di veder venire meno il clima, l’ambiente e la socialità che erano stati per lui una fonte d’ispirazione insostituibile.
Roma ha plasmato Sordi e Sordi ha interpretato Roma, prim’ancora del resto d’Italia, restituendocela in un affresco vivido e tuttora attuale. Di quel tempo, di quella città, di quel cinema, di quei rapporti umani e delle speranze che caratterizzarono l’Italia del dopoguerra è rimasto poco o nulla. Di Albertone ci rimangono i tanti film che ha interpretato e il rimpianto tangibile per un mondo che non esiste più. Cento di questi giorni, con profondo rammarico.

 


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