Tra le nuove modalità per limitare la libertà di stampa su notizie di interesse pubblico, soprattutto nei casi di notizie sul comportamento di politici e di uomini di Governo, l’Ungheria ha utilizzato il ritiro dell’accredito ad alcuni giornalisti che “coprivano” l’attività del Parlamento per giornali e siti internet. Ancora una volta, è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo a salvaguardare la libertà di stampa condannando lo Stato in causa e stabilendo che la compressione della libertà di stampa si realizza non solo con la limitazione alla pubblicazione di notizie, ma anche frapponendo ostacoli all’esercizio delle attività di ricerca che servono al reporter per pubblicare un articolo e per avere notizie di prima mano. Con la sentenza depositata il 26 maggio (causa Mándli e altri contro Ungheria, ricorso n. 63164/16, CASE OF M?NDLI AND OTHERS v. HUNGARY) la Corte di Strasburgo, infatti, ha accolto il ricorso di sei giornalisti ungheresi e condannato Budapest per violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto alla libertà di espressione, precisando che la violazione della libertà di stampa si verifica non solo quando le autorità nazionali pongono limiti alla pubblicazione di materiale, ma anche nei casi in cui frappongono ostacoli allo svolgimento dell’attività dei giornalisti.
Questi i fatti. I sei giornalisti ricorrenti, accreditati presso il Parlamento ungherese, avevano cercato di ottenere un commento da alcuni deputati e dal Primo ministro su una vicenda di presunti versamenti illeciti legati alla Banca nazionale d’Ungheria, senza una preliminare notificazione al Presidente del Parlamento e in una parte dell’edificio in genere non destinata ai giornalisti. Il Presidente del Parlamento il giorno dopo aveva sospeso l’accredito. I reporter, successivamente, avevano chiesto di accedere per seguire la sessione plenaria di giugno, ma non avevano ottenuto alcuna risposta. Solo qualche mese dopo, il provvedimento era stato ritirato. Per la Corte europea è vero che i giornalisti hanno violato le regole di condotta del Parlamento con le quali era stato proibito l’accesso e le riprese in alcune zone e che tali divieti non avevano lo scopo di impedire l’esercizio dell’attività giornalistica ma, di fatto, le misure hanno avuto l’effetto di limitare la libertà di stampa su questioni di interesse generale quali le attività dei parlamentari. Inoltre – osserva Strasburgo – i giornalisti stavano provando ad ottenere dichiarazioni su un tema di considerevole interesse pubblico ossia su alcuni presunti versamenti illeciti legati alla Banca centrale ungherese. Sul punto, ancora una volta, Strasburgo è chiara nel ribadire che non spetta né alla Corte né ai giudici nazionali sostituirsi alle scelte sulle modalità tecniche utilizzate dai giornalisti per riportare una notizia di interesse generale e che i cronisti devono poter avere accesso a notizie di prima mano.
La Corte ha così respinto la tesi del Governo che accusava i giornalisti di sensazionalismo proprio perché fa parte dell’attività dei reporter cercare notizie su questioni di interesse generale, con i mezzi scelti dal giornalista che vuole una diretta conoscenza dei fatti. Certo, prosegue la Corte, in linea di principio i parlamentari possono regolare le modalità di accesso indicando aree in cui è possibile registrare e altre in cui è vietato al fine di evitare interruzioni nell’attività parlamentare, ma a condizione che vengano evitati abusi e che ci sia un controllo sulle misure decise dal Parlamento. Così non è stato in questa vicenda perché il Presidente dell’Aula, nell’adottare il provvedimento, non ha effettuato alcuna valutazione sul possibile impatto della sanzione sull’attività dei giornalisti e non ha motivato la misura (solo nel 2017 sono state apportate alcune modifiche al regolamento del Parlamento). Inoltre, non era stata specificata la durata della sospensione e non era stata offerta alcuna possibilità di contestare e ottenere una modifica del provvedimento. Di conseguenza, l’ingerenza nella libertà di stampa non era necessaria rispetto all’obiettivo perseguito. Con conseguente condanna dello Stato in causa che non ha neanche provato gli effetti eventualmente dannosi dell’attività dei giornalisti sul regolare svolgimento delle sedute del Parlamento.