Ciao Articolo 21, sono Jack Folla –Un DJ nel braccio della morte. Ricordi il mio programma “Alcatraz”? Andò in onda dal 1998 al 2002 su Radio 2, con oltre 500 puntate da 45’ l’una. Fu un successo di audience (gli ascolti passarono dai 20 mila iniziali a oltre mezzo milione, in un orario, le 14 circa, in cui Radiorai era ignorata dai giovani, tutti all’ascolto del DJ delle radio commerciali). Ma fu soprattutto un successo d’immagine, cultura e spettacolo per la Radio pubblica. E una boccata d’ossigeno per i deboli, gli oppressi, i disprezzati della terra. Jack Folla era il loro DJ.
Il Corriere della Sera scrisse: “Le sue parole sono sempre a rischio di bavaglio, sempre braccate dal Potere. Jack Folla è l’ultima bandiera dei non riconciliati e dei no global, un vessillo di tutte le libertà”. E Capital: “Il DJ italo-americano condannato a morte urla il proprio disgusto contro l’ipocrisia, la mediocrità, il perbenismo degli uomini che si credono liberi e invece sono molto più prigionieri di lui”. La Repubblica: “Jack Folla ha poco tempo da vivere, per cui dice quello che gli pare e come gli pare, parolacce incluse. I suoi lettori e ascoltatori rispondono scrivendogli dalle loro prigioni quotidiane: fabbriche, uffici, famiglie”. E L’Espresso: “Un linguaggio crudo al limite dell’invettiva. Un mix duro di rabbia, rock e tenerezza”. Infine, La Stampa: “Questo è un uomo che invece di essere giustiziato andrebbe tutelato come il panda”.
Nel 2000 “Alcatraz” ebbe anche una stagione televisiva su Rai 2. Realizzai 27 puntate da 30’ girate a L’Avana (Cuba) con una co-starring deliziosa e agguerrita come Francesca Neri. Il programma fu mandato a schiantarsi in un primo momento alle 20 della sera, contro le corrazzate dei telegiornali. Scelta infausta, perché era una docufiction dal protagonista senza volto, pensata per la terza serata. Dove finalmente approdò, dopo essere stata ingiustamente etichettata come un “flop”, conquistandosi 2.500.000 ascoltatori circa e il 14% di share. E fu replicata due volte per poi sparire per sempre in qualche freezer della Rai. I pubblicitari, invece, erano in gran fibrillazione. Il piccolo esercito di aficionados che si riuniva davanti allo schermo in tutta Italia alle 23:30 circa e usciva solo sui titoli di coda era formato in larghissima parte da persone che “non guardano la tv”. I pubblicitari se li sognavano come l’Eldorado. Erano i consumatori ancora “vergini”. La Terra di Nessuno.
Anche nelle librerie accadeva qualcosa di sconcertante. Migliaia di ragazzine e ragazzini, ma anche di ottuagenari rock provenienti dalle periferie e che non erano mai entrati in vita loro in una libreria, mettevano piede per la prima volta nelle chiese laiche del sapere, acquistavano una copia di Jack Folla (RAI ERI/Mondadori) e fuggivano via. Il libro vendette oltre 200 mila copie in pochi mesi. Gli editori si arricchirono, mi dettero solo le briciole: il 2,5 per cento di roialty. Ero un bambino…
Abbiamo detto che cosa scrivevano i giornali, ma quali erano le “recensioni” della gente? Ve ne cito alcune, le pubblicherò a settembre con il nuovo libro di Jack Folla, in italiano, inglese e spagnolo, autopubblicato e distribuito in tutto il mondo da Amazon: «Il programma che mi ha aperto la mente e che ha fatto nascere in me il bisogno, la voglia e il piacere di leggere». (Dario S.) «Jack è il più grosso figlio di puttana che abbia mai conosciuto. Preferisco odiarlo che amarlo, però ha maledettamente ragione: siamo dei pezzenti. E i morti che camminano siamo noi, non lui». (Giovanni F.) «Ehi Jack, mi fa piacere che muori alla fine. Ti ascolto sempre, ma dici troppe parolacce e anche se non morissi condannato andresti comunque all’inferno». (Chiara C.) «Leggerti, ascoltarti, è come averti sul mio corpo». (Lilly) «Jack è la nostra anima ribelle, contestatrice e costruttrice, i nostri occhi che si aprono, il prendere coscienza. È l’avere paura ed essere fieri di averla. Finge di essere crudele, perfido e senza speranza, poi lo scopri e capisci che sei tu, i tuoi sentimenti (per chi li prova ancora) scritti, narrati, i tuoi malesseri, le tue aspettative, la tua voglia di giustizia». (Federica T.) «È bello sentirti dire le stesse cose che pensiamo noi da quando abbiamo lasciato perdere la ricerca del culo più vantaggioso da leccare». (Albert H.) «Jack, grida anche per me che non ho il coraggio». (Luciana V.) «Jack, mio fratello maggiore dice che sei un po’ Lenny Bruce un po’ Luther Blisset, ma chi cazzo sono?» (Camilla) «Ciao fratello, sono il 32154, anch’io dietro le sbarre al carcere di Opera. Sei diventato un mito qui in cortile. Sei forte, continua a vomitare acido sopra tutti quelli che ti capitano a tiro. Let’s fly away from here». (William R.)
Qual è la cosa storicamente curiosa e sconcertante di tutto questo? Che su un fenomeno così fresco e bello, così ricco culturalmente e socialmente, che su un programma che qualsiasi radio al mondo avrebbe tenuto come un fiore all’occhiello (tenendosi ben stretti a sé i suoi autori) è invece discesa una condanna capitale: l’isolamento e il silenzio.
Poche settimane fa, intorno al 25 aprile, una mattina mi son svegliato… e ho “scoperto” che da 18 anni ormai Radiorai mi aveva silenziato. Che la mia anima era stata invasa da un occupante straniero che mi aveva tenuto in pugno, impedendomi di fare il mestiere per cui sono nato, per cui ho un dono. Che il mio destino era stato deviato e non si sa perché. Perché ero stato “cattivo”? Perché avevo fatto nomi e cognomi e me la stavano facendo pagare? Mi sono svegliato scoprendo che l’azienda che amo, la Rai, quella che aveva accolto i miei primi vagiti d’autore come “Mocambo bar” scritta a quattro mani col grande Paolo Conte, mi aveva licenziato senza mai avermi assunto e senza mai avermi letto ufficialmente questa terribile condanna.
Insomma, ero da 18 anni ad Alcatraz, e il grande amore della mia vita e della mia arte, la radio, mi aveva condannato a morte.
“Ma tu che hai fatto, Jack, in tutti questi anni?” Ho fatto la fame, ho scritto romanzi e ho fatto proposte. Almeno due volte l’anno qualche dirigente Rai mi riceveva. Si dichiarava stupefatto che un professionista con me non lavorasse. Aggiungeva “Ma tu perché non me lo hai detto subito?” Ascoltava con entusiastico interesse il mio nuovo progetto radiofonico o televisivo. Mi accompagnava alla porta con pacche sulle spalle e promesse immediate di contratto. Io tornavo a casa finalmente rinfrancato. I miei figli mi guardavano in trepidante preoccupazione. Sussurravo “Stavolta è fatta, ragazzi”. A volte mi lanciavo perfino in una pizza fuori per tirare tutti insieme un sospiro di sollievo da quest’incubo. E poi? Nulla. Deserto dei tartari. Silenzio glaciale assoluto.
Non più tardi di quattro mesi fa sono entrato a Saxa Rubra scortato dai carabinieri e con un uomo dal volto coperto. Non era una rapina. Ero con Capitano Ultimo. Abbiamo proposto un programma a striscia quotidiana. Jack Folla e Capitano Ultimo in diretta. O io sono un pazzo (e può darsi, e allora tutto ok, ho vissuto un incubo per 20 anni, un delirio della mia mente) o nessun direttore delle radio della terra, secondo me, si perde due personaggi come Ultimo e Jack Folla in una botta sola. E’ come se si presentassero Sandokan e Yanez che gli dici? nInfatti l’entusiasmo a Saxa Rubra è stato collettivo, enorme, commovente. Ultimo e io siamo usciti entusiasti e non vedevamo l’ora di cominciare. E invece è andata esattamente come tutte le altre volte. Che poi uno dice, ma allora perché ci ricevete? O forse fa parte della torture-corollario della pena? Se così fosse, segnalatela ad Amnesty International. Funziona! Fa malissimo!
Pochi giorni dopo, ho firmato un contratto con AUDIBLE-Amazon per una serie di 10 podcast da 35’ dal titolo “MIO CAPITANO”, con Ultimo protagonista. Peggio per la RAI, ma mi dispiace lo stesso. Sono un collaboratore leale. Sempre stato fedele ai primi amori.
Nel frattempo, ho cominciato a registrare da barricato in casa (in tempi di Covid-19) una nuova stagione di JACK FOLLA-Un DJ nel braccio della morte. Non più avvalendomi della splendida voce di un doppiatore, ma compiendo l’ultima spericolata operazione-verità. Fondendo in uno solo, Diego Cugia, autore, con Jack Folla il suo personaggio più famoso. Ci voleva coraggio con la mia voce rauca e l’erre moscia a riprendere a parlare dopo 18 anni di silenzio dal carcere di Terre Haute nell’Indiana, dove attualmente mi trovo in attesa dell’iniezione letale. La nuova (falsa) accusa è che avrei ucciso un senatore repubblicano della Georgia, molto vicino all’amministrazione Trump.
Se v’interessa sapere cosa pensano gli ascoltatori di queste nuove puntate di Jack Folla, basta andare sulla mia pagina pubblica di Facebook: Diego Cugia-Jack Folla, o su Instagram, o meglio ancora sul canale Diego Cugia-Jack Folla su Youtube. In attesa che Radiorai mi restituisca il microfono, in nome dell’Art.21 della nostra Costituzione, una trentina di radio in tutta Italia stanno trasmettendo alcune di queste puntate, che cedo loro gratis, liberandole da ogni copyright. Lo faccio anche con la mia associazione, Articolo 21, che troverà il modo, in calce a questa lunga lettera, di farvi ascoltare una puntata ancora inedita dal titolo “In questo immenso teatro blu”.
Grazie a tutti e, mi auguro, a risentirci presto in onda sulla nostra radio nazionale!
Diego Cugia-Jack Folla
Link per scaricare la puntata (valido solo 7 giorni)