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Timido e pigro tarlo. L’amore di Blades per un nemico dei libri

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ra fuoco, acqua, polvere, bambini e domestici, tanti, tantissimi sono i nemici dei libri. E William Blades – bibliografo, saggista e collezionista inglese – ne narrò un ampio catalogo nel 1880 in The enemies of books, operetta ora tradotta in italiano (I nemici dei libri, Bologna, Pendragon, 2018). Nei suoi capitoli scorrono descrizioni assai divertenti di quanti nemici i libri si siano fatti nei secoli, con una sorpresa: uno di questi nemici fu trattato dall’autore con guanti di velluto. Si trattava del tarlo.

È noto che i libri odierni, fatti di carta chimicamente adulterata, sono poco commestibili e le tante famiglie di tarli non se ne cibano più. Ma ci fu un tempo in cui la carta era alimento raffinato per queste creature, che i bibliofili tenevano a conoscere da vicino, e tra questi ci fu appunto Blades, che ricevette e isolò alcuni esemplari osservandone il comportamento di vita. Nel dicembre 1879 un rilegatore di Northampton gli spedì per posta un verme grassoccio ri­trovato in bottega mentre si stava rile­gando un antico volume.

Narra Blades: «L’animaletto sopportò il viaggio estremamente bene, infatti quando lo tirai fuori sembrava molto in forma. Lo misi in una sca­tola calda e confortevole, tra qualche piccolo fram­mento di carta da un Boezio stampato da Caxton e la pagina di un libro seicentesco. Il verme man­giò una piccola porzione di carta ma, a causa dell­‘aria troppo fresca, dell’insolita libertà o della va­riazione nella dieta, iniziò gradualmente a indebo­lirsi e morì in tre settimane».

Nell’estate del 1885 un funzionario del British Museum s’imbatté, dentro un antico commentario ebraico giunto da Atene, in due vermi che volle consegnare a Blades. Uno dei due, scosso dal viaggio, era all’arri­vo già moribondo e spirò in pochi giorni; l’altro verme invece era di aspetto più vi­goroso e sopravvisse per mesi, non senza accurata dedizione: «Me ne occupai meglio che potei: lo sistemai in una sca­tola con una scelta di tre tipi di vecchia carta da mangiare, disturbandolo molto raramente. Evi­dentemente risentiva dell’isolamento: mangiava molto poco, si muoveva altrettanto poco e mutò pochissimo nelle sembianze anche dopo morto. Questo verme greco nutrito dalla tradizione ebrai­ca differiva sotto molti punti di vista da tutti gli altri che ho visto: era più lungo, snello e dal­l’aspetto più delicato rispetto a qualunque suo si­mile inglese. Era trasparente come un sottile stra­to di avorio e una linea scura, che pensai essere il canale intestinale, gli attraversava il corpo; indugiò parecchio nel dimettersi dalla vita».

Ora, Blades fu spietatamente deriso per questa sua idea, giudicata assurda, di poter imprigionare in una scatola un verme che si ciba di carta, ma quanto ingiuste erano quelle critiche: «Il nostro tarlo è una bestiolina timida e pigra e gli occorrono uno o due giorni per recuperare l’appetito dopo essere stato “sfrattato”. Per di più, teneva troppo alla sua dignità per ab­bassarsi a divorare la grossa e scadente carta da appunti nella quale era incarcerato».

Qualcuno ha detto che amare i libri implica amare le creature che vi abitano. Accadde a Blades, quando giunse a vezzeggiare queste bestioline timide e pigre, dotate in fondo di una loro dignità.


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