#STRAGECAPACI – “C’è una sola mafia nel mondo. Che riunisce tutte le mafie”. La mia intervista a Falcone. Tre mesi prima…

0 0

Non ho mai amato particolarmente le interviste, preferendo raccontare storie. Ma di quella a Falcone, tre mesi prima della sua morte, non posso che esserne fiero (oltre che sorpreso). Ci avevo provato una volta a Palermo, rischiando di avere problemi con la scorta, sorpresa che stavo lì proprio quando usciva (ed era un caso). Poi capita l’occasione quando meno te la aspetti. Stavamo a Oslo per un convegno sulla droga, in cui il giudice siciliano era il principale relatore. Sono giovane, intimorito ma alla fine riesco ad avvicinare il “monumento”, appena dopo pranzo. E lui mi sorprende mettendosi a disposizione con un sorriso dolcissimo, quasi paterno. Ricordo che la prima domanda riguardava la mafia siciliana: comanda ancora al mondo? E lui in pochi minuti mi regala un’autentica lezione: “C’è una sola mafia nel mondo. Che riunisce tutte le mafie. Forse il modello ripreso da tutti è quello italiano, ma non importa chi comanda adesso. Bisogna tenere ben presente che i collegamenti internazionali sono vivi e vitali, non ci sono confini. E’ chiaro che il collante che riunisce le varie organizzazioni criminali è la droga. Si fanno troppi soldi con la droga e troppo facilmente”.

Ne ho già parlato su Articolo 21: di lui mi colpì di lui la pacatezza. Parlava piano, guardandomi negli occhi, ma ogni parola era un macigno. Fu chiarissimo, con quella sua voce pacata, pesante, cupa, senza fronzoli. Mi regalò un’analisi lucida e concreta sulla piovra. Come hanno ricordato anche all’Fbi, che ha una sua  statua all’ingresso, fu il primo a intuire, molto prima della globalizzazione, che la lotta al crimine doveva essere universale, senza confini. E il destino volle che in quella vita da zingaro, il giorno di Capaci stavo a Mosca. Fu uno choc anche per i russi: la notizia ebbe ampio risalto e c’era la fila davanti alla televisione di Ostankino per seguire le dirette. Era sicuramente un passo avanti tutti gli altri, forse perché veniva dalla Kalsa, lo stesso quartiere di Borsellino, dove non era facile scegliere da che parte stare e distinguere il bene dal male. Ad appena sedici chilometri da dove è cresciuto, lo hanno spazzato via con quello che hanno  chiamato l’”attentatone” perché per abbattere un monumento  non bastava un attentato qualsiasi.

Mi piace ricordare, altro incontro che mi dà emozione, che negli anni successivi, in una delle tante commemorazioni della strage davanti a quel pezzo di strada saltato in aria, ho incrociato tra la folla anche i figli di Che Guevara. Ad Aleida ho chiesto: suo padre sarebbe qui? “Claro che sì. Falcone era un uomo molto giusto e molto forte e da noi si dice che onorare una persona valiente significa prendere una parte del suo valore e del suo coraggio. Una canzone cubana dice: ‘se io muoio non piangere per me. Fai quello che io ho fatto e rimarrò vivo dentro di te’”. Già, gli uomini passano, le idee restano.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21